Toni Capuozzo, 56 anni, inviato del Tg5, da mesi racconta una guerra diversa
da quella raccontata dalla Rai e da gran parte dei giornali. Nella sua
trasmissione, "Terra", se la prende con il pacifismo, svela le zone d’ombra di
un "Ponte per..", denuncia la cecità e la cedevolezza occidentale, ricorda la
condizione delle donne, dei civili. Rifiuta il concetto di resistenza applicato
non soltanto al terrorismo stragista, ma anche alle bande armate in guerra con
gli americani. A Libero ha spiegato il perché: Perché io sono un uomo di
sinistra. Non ho mai nascosto né rinnegato le mie origini, la mia attività in
Lotta continua. Per me la Resistenza è un’altra cosa. In Iraq non esiste un’attività
di resistenza». Che cosa c’è? Un terrorismo straniero, quello di Al Zarqawi
per intenderci, che ha messo radici in un terreno fertile; e un terrorismo
costituito da ciò che resta del vecchio regime di Saddam. E’ un terrorismo che
funziona. Se ammazzano gli interpreti perché lavorano per gli americani, la
gente non fa più l’interprete. Poi ci sono le bande armate - io le chiamerei
bande di ribelli, di insorti - che non rapiscono e non mettono le autobombe, ma
si oppongono con la guerriglia alla presenza degli americani». Considerano gli.
americani invasori. Non uccidono i civili. Tecnicamente sono resistenti. No,
non lo sono. Sono conservatori, sono prevaricatori, vogliono le donne sottomesse,
rifiutano l’idea di un Iraq
democratico. Vogliono essere la nuova oligarchia
dittatoriale». Dunque solo Quattrocchi è un resistente? Lui. I dodici nepalesi
che aspettavano coraggiosamente e in silenzio la pallottola alla nuca. I
cinquemila iracheni in divisa uccisi dai loro connazionali perché collaboravano
con gli Usa nel tentativo di un futuro al paese. Gli iracheni ammazzati con le
bombe mentre erano in fila per reclutarsi. Questi hanno fatto la resistenza, non
gli altri. Anche l’inglese in gabbia, in lacrime terrorizzato, fa la sua
resistenza, perché nella paura c’è tutta l’umanità che manca ai suoi
sequestratori». Sono pochi in Italia a pensarla così. In Italia si giustifica
il terrorismo con la fame. Si dice che è la miseria a produrre l’orrore. E la
fame dei camionisti turchi assassinati? E la fame di chi si arruola? La fame
degli iracheni che lavorano per l’esercito americano? E’ una fame minore? Più
ignobile?». Sono obiezioni poco affascinanti in Europa. L’atteggiamento dell’Europa
è incomprensibile. Sembra non abbia altro obiettivo che di godere di un
eventuale fallimento di Bush. E’ un’Europa confusa da quando è caduto il
comunismo, pervasa da una grande corrente ideologica fatta di figli di papà, di
pauperisti, sia religiosa sia laica, che ha perso la sua bandiera. E allora ha
sostituito il vecchio modello del comunismo con un modello alternativo, e sempre
a sognare il paradiso. Quando c’era il comunismo si diceva, disillusione dopo
disillusione, che il comunismo poteva essere qualcosa di diverso da Stalin, poi
da Mao, poi da Pol Pot. Ma il comunismo diverso non è mai arrivato. Ora si sogna
un mondo ancora più indefinito, ancora più inesistente». Beh, l’Islam è un mondo
molto concreto. Certo, un mondo nel quale è stato proiettato incredibilmente il
sogno di una terra promessa. Ma dove? Nella tirannide talebana? Nelle donne
seppellite nel burqa? E questo sarebbe l’altro mondo possibile predicato dai no
global? Stando in Iraq mi sono ripromesso, come sempre, di raccontare i fatti.
Penso che prima di farsi un’opinione si debbano conoscere i fatti. Invece
molti incasellano i fatti partendo dalle opinioni. Della terribile vicenda
del povero Bandoni, per esempio, o di quella delle due Simone si è discusso per
giorni delle dinamiche del sequestro, delle anomalie, come se l’unico obiettivo
fosse quello di dimostrare che erano stati gli americani, i servizi deviati, la
Cia. Per dimostrare che tutto il male del mondo è roba loro». Siamo al solito
antiamericanismo? Certo, non è cambiato nulla. Se sei antiamericano va bene
qualsiasi cosa tu faccia. Anche se sgozzi, sequestri, metti a fuoco Bagdad e
Gerusalemme. Magari non ti giustificano ma ti capiscono. A parte il fatto che
poi, se arriva un americano che corrisponde al loro ideale, lo idolatrano.
Michael Moore è stato trasformato in un nuovo Orson Welles, Kerry in una specie
di Kennedy». Spesso il terrorismo viene equiparato ai bombardamenti americani.
E’ così. Se gli americani bombardano un covo di estremisti fanatici, le tv ci
mostrano i civili e ci dicono che questo è l’orrore. Non ci dicono che i
terroristi non vivono nelle caserme, ma in mezzo alla gente, in una palude in
cui è impossibile muoversi con certezza. Non mi piacciono i cosiddetti "danni
collaterali". Ma non sono terrorismo». Il terrorismo paga? Arafat ha vinto il
Nobel per la pace con il terrorismo. Della questione palestinese nessuno sapeva
nulla sinché i palestinesi non cominciarono a rapire, dirottare, uccidere.
Allora in Europa siamo diventati tutti tifosi della Palestina e di Arafat». Che
cosa ha di diverso la protesta no global da quella vostra degli anni Settanta? Beh,
la nostra contestazione aveva in sé una carica di violenza che, per fortuna, non
vedo oggi. Però le battaglie della sinistra o sono simboliche, evanescenti,
vacue. Dicono no, al rimpatrio di seicento clandestini sbarcati a Lampedusa ed è
una cosa insensata, contraddittoria. Secondo questo ragionamento, dovremmo
organizzare noi dei ponti aerei portare in Italia non seicento clandestini, ma
seimila. E perché non sei milioni? O sessanta? Insensato». Lei dice che non si
deve prendersela con le due Simone. Perché sono due militanti. Lo sapevamo e
non dovevamo dimenticarlo perché poi si resta delusi. Dovremmo anzi essere
felici che un’esperienza simile non le abbia cambiate». Pérò è stato molto più
severo con Un ponte per...», l’organizzazione che le ha mandate in Iraq. Semplicemente
mi sono chiesto dov’erano quando Saddam, sterminava a migliaia gli sciiti e i
curdi. Dov’erano quando Saddam usava ghigliottine a sei posti per decapitare sei
oppositori contemporaneamente. Non sono mai stati campioni di libertà. Per
lavarsi la coscienza portavano le medicine ai bambini, che era come aprire una
farmacia ad Auschwitz. Hanno sceso i gradini di un abisso morale. Sono brava
gente con la doppia morale». Che cosa pensa dei suoi colleghi che raccontano un’altra
guerra? Non penso niente. Io penso a me. Certo, mi rendo conto di suscitare
scandalo, perché ho una storia di sinistra e vedo e racconto cose diverse da
quelle che raccontano i Giulietto Chiesa o le Gruber. Sono stato criticato anche
per come ho reso i fatti del G8 a Genova, ma pazienza. Del resto non l’ho
inventata io la foto con il povero Giuliani che sollevava l’estintore, con il
povero Placanica armato e con gli occhi terrorizzati, e con le travi buttate
dentro alla sua camionetta». Lilli Gruber ha mollato il giornalismo e il giorno
dopo era candidata per l’Ulivo. Sono d’accordo con il suo ex direttore,
Clemente Mimum: avrebbe fatto bene quanto meno a lasciar passare un po’ di
tempo». Comunque si è candidata dopo averci parlato per mesi da Bagdad, della
guerra. E legittimo dubitare della genuinità del suo lavoro? Sì, lo è. Ma non
ne farei un dramma. Purtroppo la gente ascolta soltanto quello che vuole
sentirsi dire. Se viviamo di pregiudizi la colpa non è soltanto della stampa.
Tutta l’Europa è molle e impreparata. Un pensiero ribelle è diventato il
conformismo più totale. Quanto un grande anticonformista come Montanelli si è
adagiato, per una volta, al pensiero corretto dominante, si è guadagnato gli
applausi di tutti i suoi vecchi avversari». Un’ultima domanda. Che sarà dell’Iraq?
Io rimango ottimista. Se andrà bene, come penso, il processo sarà lunghissimo e
doloroso ma in Iraq si produrrà un circolo virtuoso che fa paura a molti. Una
democrazia in Medio Oriente è qualcosa di straordinariamente eversivo». Sembra
un neoconservatore, un consigliere di Bush. Non ragiono su basi di appartenenza.
Ragiono sui fatti. I fatti dicono che in Iraq sono nati più di cento giornali.
La gente ha la libertà di manifestare e di bruciare le bandiere in piazza. E
quando si assaggia la libertà, poi è molto difficile tornare indietro e
rinunciarvi».