In
"Utopia e disincanto", lo storico Claudio Magris ricorda la tragedia
di un gruppo di uomini la cui sfortuna fu di essere sempre "dalla parte
sbagliata nel momento sbagliato, circondati dalle frontiere più dure e feroci".
Erano duemila operai comunisti dei Cantieri Navali di Monfalcone, dei "duri
e puri". Attraversarono il golfo di Trieste per unirsi ai compagni titini
per edificare "il vero socialismo". Pochi anni dopo il loro arrivo,
quando nel 1948 il maresciallo jugoslavo Tito venne scomunicato dal Cominform e
ruppe con Stalin, furono visti con sospetto da Belgrado, minacciati, e molti di
loro sbattuti nei gulag, perché "non ortodossi". Insomma, erano
rimasti stalinisti. Ma anche in patria quel destino "sbagliato" non
cambiò: furono umiliati, emarginati e vessati, in quanto testimoni di un
passato del quale il Pci ormai si vergognava. Vicenda che su quella gente è
pesata come un fallimento morale, tanto da indurla a non parlarne per anni. Lo
ha fatto in tempi recenti qualche superstite, come per liberarsi la coscienza,
parlando con uno storico, Giacomo Scotti, che ha ricostruito la storia. Tutto ha
inizio subito dopo la guerra di liberazione (1945), quando molti operai
comunisti del cantiere navale di Monfalcone, affascinati dalla scommessa di
Tito, varcano il confine e si trasferiscono a Pola e Fiume, nelle cui industrie
c'è appunto un gran bisogno di manodopera qualificata (i tecnici italiani che
vi lavoravano prima della guerra erano stati massacrati o erano riusiciti a
fuggire rifugiandoisi, con altri trecentocinquantamila profughi istriani, in
Italia). E' un controesodo di almeno 2.000 persone, duemila operai comunisti di
Monfalcone convinti di fare una scelta definitiva e che perciò in parecchi casi
si portano dietro pure le famiglie. A loro si aggiunsero altri militanti
mobilitati dal Pci in mezza Italia: intellettuali (come il critico d'arte Mario
De Micheli), attori (come Sandro Bianchi), musicisti (come il violinista della
Scala, Carlo La Spina). I "monfalconesi" restarono "agli ordini"
della federazione comunista di Trieste: da lì veniva la linea politica che li
condannerà, a partire dal 28 giugno '48, quando Mosca accusa Tito di
deviazionismo. Il Pci, infatti, resta stalinista e firma la risoluzione
antititoista del Cominform, proprio mentre Stalin è ormai un nemico a Belgrado.
Diventano tutti e 2.000 "persone sospette", oggetto di purghe ed
epurazioni. Subirono pestaggi e violenze. Ciò significa il gulag di Goli Otok,
sull'Isola Calva, o altre prigioni in Bosnia Erzegovina. Mesi durissimi. Alla
fine rientrano a casa, ma anche lì si ritrovano discriminati dalla loro stessa
gente. Il Pci ha fatto uno strappo, ed è meglio che si tolgano di mezzo. "Fatelo
per il bene della Causa e dell'Idea", viene detto loro. E il paradosso è
che obbedirono e obbediscono ancora oggi, agli ordini imposti.