Vittime dell'utopia stalinista

di Edoardo Pacelli (da un articolo del Corriere della Sera)

L'ex dittatore iugoslavo, TitoIn "Utopia e disincanto", lo storico Claudio Magris ricorda la tragedia di un gruppo di uomini la cui sfortuna fu di essere sempre "dalla parte sbagliata nel momento sbagliato, circondati dalle frontiere più dure e feroci". Erano duemila operai comunisti dei Cantieri Navali di Monfalcone, dei "duri e puri". Attraversarono il golfo di Trieste per unirsi ai compagni titini  per edificare "il vero socialismo". Pochi anni dopo il loro arrivo, quando nel 1948 il maresciallo jugoslavo Tito venne scomunicato dal Cominform e ruppe con Stalin, furono visti con sospetto da Belgrado, minacciati, e molti di loro sbattuti nei gulag, perché "non ortodossi". Insomma, erano rimasti stalinisti. Ma anche in patria quel destino "sbagliato" non cambiò: furono umiliati, emarginati e vessati, in quanto testimoni di un passato del quale il Pci ormai si vergognava. Vicenda che su quella gente è pesata come un fallimento morale, tanto da indurla a non parlarne per anni. Lo ha fatto in tempi recenti qualche superstite, come per liberarsi la coscienza, parlando con uno storico, Giacomo Scotti, che ha ricostruito la storia. Tutto ha inizio subito dopo la guerra di liberazione (1945), quando molti operai comunisti del cantiere navale di Monfalcone, affascinati dalla scommessa di Tito, varcano il confine e si trasferiscono a Pola e Fiume, nelle cui industrie c'è appunto un gran bisogno di manodopera qualificata (i tecnici italiani che vi lavoravano prima della guerra erano stati massacrati o erano riusiciti a fuggire rifugiandoisi, con altri trecentocinquantamila profughi istriani, in Italia). E' un controesodo di almeno 2.000 persone, duemila operai comunisti di Monfalcone convinti di fare una scelta definitiva e che perciò in parecchi casi si portano dietro pure le famiglie. A loro si aggiunsero altri militanti mobilitati dal Pci in mezza Italia: intellettuali (come il critico d'arte Mario De Micheli), attori (come Sandro Bianchi), musicisti (come il violinista della Scala, Carlo La Spina). I "monfalconesi" restarono "agli ordini" della federazione comunista di Trieste: da lì veniva la linea politica che li condannerà, a partire dal 28 giugno '48, quando Mosca accusa Tito di deviazionismo. Il Pci, infatti, resta stalinista e firma la risoluzione antititoista del Cominform, proprio mentre Stalin è ormai un nemico a Belgrado. Diventano tutti e 2.000 "persone sospette", oggetto di purghe ed epurazioni. Subirono pestaggi e violenze. Ciò significa il gulag di Goli Otok, sull'Isola Calva, o altre prigioni in Bosnia Erzegovina. Mesi durissimi. Alla fine rientrano a casa, ma anche lì si ritrovano discriminati dalla loro stessa gente. Il Pci ha fatto uno strappo, ed è meglio che si tolgano di mezzo. "Fatelo per il bene della Causa e dell'Idea", viene detto loro. E il paradosso è che obbedirono e obbediscono ancora oggi, agli ordini imposti.