Urso: “Che fare dopo Cancun?”

Editoriale per “LE FIGARO” Il prestigioso quotidiano francese che ospita un intervento del Vice Ministro al Commercio Estero, Adolfo Urso, in qualità di presidente di turno dell’Ue

Il sottosegretario Adolfo UrsoRoma, 1 ott. - Riprendere il negoziato significa innanzitutto comprendere le radici profonde del malessere emerso prepotentemente in Messico e forse non a caso in Messico paese-cerniera tra Nord e Sud. Un malessere che viene da lontano, che nasce a cavallo della trasformazione da GATT a WTO e che matura fra Marrackech e Seattle, con l’ampliamento di temi e partecipanti alla neonata organizzazione: il successo di Doha, in questo senso, è solo una parentesi, una anestetizzazione del malessere legata verosimilmente allo stato di necessità internazionale, alla prossimità temporale agli eventi drammatici dell’11 settembre.

Ma la crisi che attanaglia il WTO è riemersa a Cancun, guarda caso sulle stesse tematiche di Doha: sulle Singapore issues, che furono oggetto di un acceso dibattito anche a Doha e che furono inserite nell’agenda grazie ad una formula che non implicava uno specifico impegno negoziale. Ma anche sull’agricoltura, che nel testo di Doha presentava numerose ambiguità in troppe parti, puntualmente riemerse durante la V Ministeriale.

Tre nodi non sciolti allora si sono intrecciati con legittimi protagonismi politici che hanno accentuato le contrapposizioni, almeno per ora. Si può parlare dopo Cancun di un nuovo multipolarismo venutosi a creare a seguito di un’iniziativa a metà fra lo specifico (una proposta agricola alternativa a quella USA – UE) ed il globale (un’alleanza che rappresenta più della metà dei cittadini del mondo, su più livelli).

Il G22, guidato dal Brasile ma anche da India, Cina e Sud Africa mette insieme i nuovi grandi competitors, cioè coloro che traggono maggiore giovamento dall’attuale fase della globalizzazione, ma non rappresentano i più deboli sulla scala dello sviluppo. Anzi, il loro attivismo ha in qualche modo costretto i paesi africani a fare altrettanto e a irrigidire le loro posizioni negoziali, le Singapore Issues sono stati solo l’elemento scatenante, forse nel timore di vedere le loro esigenze marginalizzate nello scontro tra i “grandi” del Nord (innanzitutto Ue e Usa) e i “grandi” del Sud che si sono ritrovati improvvisamente insieme.

Occorre ormai prendere atto che non esiste più la “tavola dei cavalieri di re Artù” che nella prima fase del Gatt regolava quella ch’era allora la nostra metà del mondo. E non c’è nemmeno solo una contrapposizione tra Nord e Sud, visione manichea e fallace di un mondo più articolato e complesso.

Esistono, ormai, più Nord, come si può evidenziare proprio nelle diverse accezioni della politica agricola che sussistono non solo tra la nuova Pac e la vecchia Farm Bill, ma anche tra il Giappone e il Canada, tra i G10 e i Paesi Cairns. Ed esistono anche più Sud, e non solo perché alcuni come il Brasile sono grandi esportatori agricoli, ed altri come l’India ne sono invece importatori, ma soprattutto perché aumenta il divario tra coloro che competono, e in modo sempre più aggressivo (guardiamo alla Cina) e coloro che arrancano, e in modo sempre più faticoso (e doloroso): basti pensare ai quattro demandeurs del cotone.

Il Gatt era espressione di un mondo bipolare, diviso tra Occidente ed Oriente. Ora abbiamo un mondo multipolare, che deve necessariamente innanzi tutto riconoscersi nelle sue parti negoziali. E trovare le sue adeguate rappresentanze e i suoi luoghi decisionali.

Cancun è stata una Babele, di linguaggi e di posizioni. Come se la lezione di Seattle, con il vociare delle piazze talvolta violente non fosse affatto bastata. Ci eravamo illusi che il successo di Doha avesse sanato le ferite, in realtà aveva solo coperto con la toppa della necessità internazionale la crisi strutturale del Wto. Una crisi che ora deve essere affrontata,con un processo riformatore che proprio l’Unione Europea può e deve attivare.

Si tratta, da una parte di garantire la massima trasparenza e la più effettiva partecipazione, dall’altra, di creare dei meccanismi decisionali più efficaci, quali si potrebbero avere con un organo intermedio tra Segretariato ed Assemblea, pienamente rappresentativo delle nuove aree di rappresentanza geografiche, economiche e sociali che sono emerse di fatto.

Riconosciamo le nuove rappresentanze, cioè le parti negoziali, invece di pensare o illudersi e tanto meno agire per dividerle e frammentarle. Proprio il modello della nostra Unione deve farci da guida, con i Quindici che a Cancun si sono espressi con grande coerenza e coesione insieme ai Dieci paesi dell’adesione: potremmo definirlo, un vero G25, un grande patrimonio da valorizzare.

Nel contempo, dobbiamo chiederci se il Wto possa continuare ad agire come la rana di Esopo allargando a dismisura le proprie tematiche di intervento. E se ciò sia stato davvero un segno della propria vitalità e non invece la conseguenza dell’inattività o dell’inefficacia di altre organizzazioni multilaterali, a cominciare proprio dalle Nazioni Unite e dalle sue agenzie, alimentari, ambientali e sociali, che non hanno altrettanta capacità sanzionatoria.

Ciò deve portarci a chiedere se non sia meglio rivedere anche le nostre ambizioni e rendere più flessibile il mandato affidato ai nostri commissari. La storia ci insegna che il meglio può essere nemico del bene. In altre parole, tutto e subito può significare anche niente. Pensiamo al Nepal e alla Cambogia, alle due ultime – e significative – adesioni.

E pensiamo anche alla Cina e alla sua immensa forza che oggi in molti temono. Quanta differenza di potenza tra storie e paesi che sino a pochi anni fa apparivano terribilmente simili nella loro ideologia omologante e che oggi sono profondamente diversi nella loro velocità di sviluppo.

Molto, troppo diverse sono le loro aspettative e le loro esigenze. E vi è necessità di molta assistenza tecnica e straordinaria capacity building per permettere loro di utilizzare gli strumenti (e le opportunità) comuni. Anche per questo l’Europa non deve mollare.

Dobbiamo, da subito a Ginevra, agire nell’ambito del round e negli organismi del Wto, per continuare il dialogo e il negoziato riconoscendo la funzione delle nuove leadership emerse a Cancun, e nel contempo vigilare affinché l’accordo sui farmaci salvavita che si è ottenuto proprio in vista della V Ministeriale (e quindi grazie ad essa) consenta davvero ai Pvs di meglio fronteggiare le epidemie che minacciano la vita e la salute di decine di milioni di persone. Dobbiamo proseguire sulla strada intrapresa con la riforma della Pac e rispondere insieme – e velocemente – alle richieste sul cotone, con un atto simile, nella forza morale, a quello che abbiamo fatto con Everything but arms.

L’Europa non può rinunciare al multilateralismo né può ripiegare sul bilaterale, senza snaturare se stessa e la propria natura. Certo, nel riconoscere gli altri negoziatori e le loro esigenze dovremo anche praticare una più incisiva politica con le nuove aree geo-economiche, nei confronti del Balcani e del Mediterraneo ma anche dell’America Latina, pensando a definire un accordo di largo respiro con il Mercosur che ci chiede sponda commerciale e politica. La nostra prospettiva deve però restare globale, cioè multilaterale.

Il filo del multilateralismo è come un arcobaleno, denso di colori, diversi l’uno l’altro. Il filo del bilateralismo è a due soli colori: in bianco e nero. E vi prevale sempre e solo il più forte. Non è la nostra storia. Non è la nostra Europa.