Il paese è cambiato, non ha più soggezione, si schiera senza complessi. Ieri il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha ironizzato sull'agilità mentale che consente a Romano Prodi di approvare un piano franco-tedesco che non esiste, e gli ha rimproverato una certa disinvoltura nel pronunciare giudizi di merito su questioni di politica internazionale che non gli competono direttamente. Nelle stesse ore il ministro della Difesa, Antonio Martino, giudicava "confuse" le vociferazioni intorno al cosiddetto piano franco-tedesco, quella curiosa pretesa di affidare ai caschi blu, che diedero prova di sé scavando la fossa comune di Srebrenica (tremila morti sotto i loro occhi), il compito di governare la crisi irachena. Silvio Berlusconi rema ogni giorno contro i sondaggi e assume così una vera leadership politico-diplomatica, senza rinunciare a polemizzare apertamente con quanti, i pacifisti prima di tutto, indeboliscono l'unica esile possibilità che non ci sia la guerra: la compattezza occidentale nel dissuadere Saddam Hussein dal giocare al gatto con il topo.
E' una strana e bella Italia, politicamente nuova, attenta alle ragioni di molti (da Vladimir Putin al problema di ricostruire un punto di vista europeo comune), ma agile e schietta nel sottrarsi alle ingombranti tutele che i soci franco-tedeschi del patto europeista di Roma avrebbero voluto imporle. La guerra del Kosovo, peraltro sacrosanta, fu gestita da un personale politico vecchio, che si mostrava sensibile al vantaggio di parte e pasticciava, altro che il petrolio, con interessi economici costituiti e cinicamente difesi fino all'ultimo spicciolo di Telekom Serbia. Era tutta una girandola di equivoci etici. Cantavano in coro "All you need is love" alla vigilia del bombardamento di Belgrado, i nostri governanti fingevano una "difesa attiva" mentre i nostri aerei sganciavano bombe, non volevano accettare il fatto nudo e crudo che gli americani e la Nato salvavano l'onore del vecchio continente per l'ennesima volta, e non per sole ragioni umanitarie, quelle appariscenti legate ai profughi albanesi, ma per motivi schiettamente geo-politici, dopo che per dieci anni tedeschi, francesi e italiani avevano lasciato mano libera al destabilizzante nazional-comunismo di Slobodan Milosevic.
Alla guerra degli equivoci si è sostituita una diplomazia realista, che prende atto delle ragioni angloamericane e israeliane nel mondo uscito dall'11 settembre e dall'Intifada Al Aqsa degli uomini-bomba. E si respira un clima in fondo accettabile, non fanatico né febbricitante, non servile né ribaldo. Abbiamo un grande Papa che gioca la carta della pace nell'ultimissima ora, e un governo che non gioca con la pace e con la guerra, fa politica senza complessi e ha saputo inventarsi un'Europa disincagliata dal nazional-neutralismo del vecchio apparato socialdemocratico tedesco e dalle pagliacciate ispirate dalla nostalgia di grandeur di un attore consumato che recita su una scena traballante, anzi, già smontata