Mettiamola
cosí, papale papale. Quel che doveva fare, Berlusconi in undici anni di politica
l'ha fatto, e non é poco. Fermata l'aggressione procuratizia alla politica
elettiva; ristrutturato radicalmente il sistema politico e istituzionale, con il
maggioritario che funziona egregiamente e il bipolarismo che consente
l'alternanza di forze diverse alla guida del paese; una svolta benedetta di
centottanta gradi in politica estera, all'altezza del disastro di civiltá
dell'11settembre, una ricollocazione occidentalista coraggiosa, mobile non
ingessata nell'obbedienza francotedesca del vecchio e polveroso europeismo.
Poi molto altro: un po' di sano anticomunismo, protratto oltre il credibile con qualche sciatteria, e un'iniezione di sano spirito liberale, fatta di fortunosi tagli delle tasse ma soprattutto di uno spirito garibaldino, non professionale, un po' folle e spesso allegro, che ha incantato ideologicamente il paese e ha messo a nudo l'inquietante mediocritá di certa politica professionale. Quando i vincitori delle elezioni di questi tre anni, che hanno trovato un culmine drammatico nel rovesciamento politico delle regionali, saranno indaffarati con la loro ordinaria amministrazione, se ce la faranno a riprendersi il governo, voci indipendenti e lungimiranti si metteranno a parlare per il fenomeno Berlusconi, a favore della sua energia anomala, fino a nuove italianissime consacrazioni ex post.
Non finirá dannato, nemmeno se sconfitto. Avrá l'onore delle armi. Il problema é il core business. Quello di un imprenditore milanese é il profitto d'impresa attraverso la mobilitazione efficiente di una squadra privata. Se dotato di immaginazione, ambizione, volontá, senso del pericolo in circostanze eccezionali come quelle degli anni Novanta in Italia, questo imprenditore puó realizzare miracoli come quelli ricordati sopra anche nella sfera pubblica.
C'é peró un nec plus ultra, un limite che forse é stato raggiunto. Infatti la costruzione di una base minima di consenso sociale attraverso riforme liberali nell'economia e nello Stato, l'evocazione non effimera di una classe dirigente generale, la statuizione di regole valide per tutti e riconosciute come tali, il raccordo fattivo con gli alleati e il conflitto non devastante con gli oppositori, un progetto di societá: tutto questo é un altro paio di maniche e non fa parte del core business di una personalitá irriducibilmente privata, a suo modo grande e debordante.
Da secoli, gli italiani non hanno alcuna voglia di essere liberi e responsabili, preferiscono tutela e varia e volubile informalitá al prezzo della libertá. Puó essere che di qui a un anno il Cav. si faccia un altro giro di giostra, puó essere che no. Detto oggi con speciale affetto, visto che le ruvidezze tra amici sono state per i tempi d'oro, non valgono per le circostanze dure, un altro giro non cambierebbe poi molto. Non ce lo fa pensare il risultato delle regionali, pur cosí radicale, ma ció che precede quel risultato, l'invilupparsi della fantasia politica di Berlusconi in una specie di mania politicista senza oggetto, lo svuotamento di senso che affligge l'opera complessiva del centrodestra, pur tra parziali risultati.
Probabilmente il nostro Louis XIV non la pensa cosí, e medita dall'interno della sua corte privata e ambulante grandi vendette e risarcimenti pieni. Se é cosí, gli daremo ancora una inutile mano come abbiamo sempre fatto, cioé a modo nostro. Tuttavia la grande sorpresa finale, il sui vero happy end, il Cav. dovrebbe metterlo in scena con il talento drammaturgico che ebbe nell'entrare in politica e nel rivoluzionare l'abietta Italia dei primi Novanta. Con altrettanta fantasia, dovrebbe preparare, evitando risse tenorili e crisi melodrammatiche dell'ultima ora, una composta battaglia per valorizzare il ben fatto e cercare restare in sella, preparando al tempo stesso con onore e ironia la fine del galoppata.