Route El Fawara Hammamet

Edoardo Pacelli - gennaio 2004

La copertina del libro "Route El Fawara, Hammamet"Quattro anni fa è deceduto, in esilio, Bettino Craxi, uno dei maggiori esponenti della politica italiana. Abbiamo avuto la fortuna di ricevere di prima mano il libro "Route El Fawara, Hammamet" che Bobo Craxi ha scritto, insieme a Gianni Petacchi, sugli anni dell'esilio del padre, lo statista italiano che, insieme a De Gasperi e pochi altri, ha caratterizzato l'azione politica italiana, ricollocando il nostro paese nel contesto internazionale che gli compete. La persecuzione giustizialista volle che il mito di Craxi fosse infranto, ma, anche se lenta, la verità storica si fa sempre luce e rende giustizia. In questo libro il figlio racconta il dramma del padre, i suoi primi passi da "militare" arruolato per combattere in una guerra che altri aveva dichiarata. Ma sentiamo le parole dell'autore:

''Volevano fare fuori mio padre sia dalla vicenda politica che in senso materiale. Soltanto quando la sua sconfitta apparve chiara e irreversibile, fu abbandonato al suo destino''. Bobo Craxi torna a parlare del padre e degli anni dell'esilio a Hammamet, anni che lui ricorda come ''una guerra''. ''E come in una guerra, io fui arruolato'', dice oggi semplicemente, senza nascondere la fatica fatta per ripensare a quel tempo. ''Mentre scrivevamo il libro, ebbi un vero e proprio blocco della memoria -racconta oggi- e decisi quindi di tornare nella casa di Hammamet. Solo li', con un impatto molto violento con la realta', alla fine riuscii a superare l'impasse''.

''E' ora passato un lasso di tempo sufficiente da consentire un racconto in equilibrio tra ragione e sentimento che sviluppasse il piu' possibile un'idea di quella fase politica che fosse il piu' lontana possibile dai luoghi comuni -dice Craxi- Rimane sempre sullo sfondo il paradossale parallelismo tra la politica italiana degli anni '90 che cercava il superamento della Prima Repubblica e che prendeva le distanze fino al dileggio e questa vicenda di mio padre interpretata sempre usando la categoria giudiziaria, rifiutando la logica dell'esiliato politico e privilegiando invece la comoda definizione di latitante''.

'Appare chiaro che nell'ultima fase quella fu una definizione di comodo -riflette ancora Craxi- dopo un lungo oblio su di lui, davanti all'emergenza sanitaria il potere politico fu messo con le spalle al muro, ma si dimostro' comunque incapace di trovare una soluzione e non ricerco' gli strumenti necessari per affrontare il problema per davvero. Questa vicenda, come quella di altri uomini politici, rimane di traverso sulla coscienza del potere politico''.

''Si e' dato per scontato -prosegue- alla fine della Prima Repubblica che la lacerazione fosse tale da non consentire il recupero o la difesa perche' si trattava di uomini considerati irrecuperabili. La situazione si e' trasformata in una trappola, che comunque si era costruito da solo a sua difesa. In ogni caso, mio padre il 6 agosto, nel suo ultimo discorso alla Camera, al quale ero presente, disse: 'lasciate il caso Craxi al suo destino, non respingete l'autorizzazione a procedere'. Era ben chiaro che la vicenda non poteva essere risolta in patria, con il Psi che si andava autodissolvendo. Quindi, mio padre decise che la sua azione politica poteva essere piu' efficace da li'' D'altronde, osserva Craxi, ''l'esilio non e' un castigo, ma una ricerca''. ''Sul piano pratico, non pochi uomini politici della Prima Repubblica furono abbandonati a loro stessi in omaggio ad una legge spietata, la legge del potere. E questa e' proprio la storia di un potere che finisce nella polvere'' prende atto.

Molto duro il giudizio di Craxi sulla magistratura milanese: ''alcuni di loro erano dei tagliagola. La loro malvagita' ha raggiunto i confini della tortura psicologica. Nessuno di loro, davanti al suicidio di Cagliari, ebbe il minimo dubbio, accenno' a dimettersi, ebbe degli scrupoli, che perfino i militari in guerra hanno. A distanza di anni, Craxi fa un bilancio e guarda con ''rimpianto e nostalgia a quella fase della vita''. E non getta la croce su nessuno che in quegli anni fu prima vicino poi distante dal padre. ''Fu un naufragio -si limita a dire- Quando si commette un errore politico, si innesca una catena, un effetto domino che puo' essere deflagrante. Non avrebbe piu' senso fare una classifica dei buoni e dei cattivi. Questo non acquieta e non e' utile. Meglio che ognuno guardi dentro se stesso. Io l'ho fatto e credo che, ciascuno nella sua posizione, tutti i compagni di allora hanno vissuto la loro dose di sofferenza per la quale bisogna avere grande rispetto''.

''E' tempo adesso di guardare avanti. Per l'avvenire, una volta recuperato il dominio delle passioni emotive, bisognera' riguadagnare la credibilita' politica, concentrandosi sulle questioni legate al futuro: questa e' l'obiettivo della nostra generazione''. ''presto o tardi penso che avverra' per i socialisti quello che e' avvenuto per altre famiglie politiche europee scomparse, ma non bisogna avere fretta per non deludere. Davanti alla dissoluzione del Psi e alla scomparsa di un grande leader, dobbiamo far rivivere quella esperienza in chiave moderna, senza abiure e senza nostalgie''