Recentemente,
la coordinatrice del Gruppo di lavoro "Giornalisti italiani nel mondo"
istituito presso l’Ordine dei Giornalisti ebbe a dichiarare: "Mi riesce
difficile capire come sia possibile che un Paese "dimentichi" di fatto
una fetta consistente di suoi cittadini sparsi per il mondo, coltivando
distrattamente un rapporto con loro attraverso le testate italiane all’estero
e trascurando del tutto la possibilità che i connazionali in Patria siano
tenuti al corrente delle loro vicende". Ciò è stato possibile perché gli
italiani all’estero erano soggetti abbandonati ed isolati dal contesto
nazionale, considerati talvolta dei soli ed esclusivi concentrati di problemi e
rivendicazioni senza diritti, che solo qualche sperduto burocrate registrava
nell’esercizio delle sue funzioni. Sarebbe infantile affermare che con l’esercizio
del voto all’estero i tanti problemi della nostra emigrazione siano risolti.
Siamo nel giusto, però, quando affermiamo che l’elezione di 18 rappresentanti
diretti delle nostre collettività nel Parlamento italiano, oltre a porre fine
ad una assurda discriminazione, inserisce a pieno titolo nel "Sistema
Italia" milioni di cittadini italiani che risiedono all’estero, finora
abbandonati e misconosciuti. Questo fatto destabilizzante, oltre a squinternare
le logiche antiche e perverse, permetterà obbligatoriamente un approccio nuovo
al problema della informazione e della comunicazione degli italiani nel mondo.
Se prima era una "optional", ora vi è un obbligo istituzionale di
informare - ripeto informare - adeguatamente le nostre collettività. La legge
ordinaria sull’esercizio del voto all’estero, approvata il 20 dicembre dal
Senato, tra l’altro contempla non a caso dei riferimenti obbligatori alla
informazione e alla comunicazione delle nostre comunità. Da qui, a mio modesto
parere, deve partire il nostro ragionamento per riconsiderare tutto quello che
abbiamo detto e ripetuto nelle varie conferenze e far fare un salto di qualità
sugli argomenti e sulle soluzioni proposte ai singoli problemi e che abbiamo
sviscerato sino alla nausea. Le Istituzioni, il Parlamento, il Governo, le
Regioni, il CGIE assieme ai Comites devono porsi realisticamente di fronte al
problema della informazione e della comunicazione in modo moderno ed adeguato,
superando il concetto unidirezionale dell’informazione tendente a favorire
esclusivamente chi si informa di quello che succede in Italia, puntando anche ad
una informazione di carattere bidirezionale, se non addirittura - come qualche
addetto ai lavori ha dichiarato - grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie,
circolare. Senza voler filosofare e tanto meno sognare, deve essere chiaro a
tutti che ora sta iniziando una nuova primavera che nessuno potrà ignorare e
che deve dare concrete risposte alle questioni aperte che conosciamo e che
quotidianamente si presentano. In tutto questo un problema chiave, oserei dire
fondamentale, lo riveste l’informazione di ritorno che giustamente il CGIE, ma
anche il Ministro degli Italiani nel mondo, hanno messo al centro della loro
attenzione. Recentemente il Presidente del Comites di Charleroi, che è anche
membro del nostro Consiglio, mi raccontò che, guidata da alcuni insegnanti, era
giunta in quella grigia città della Vallonia un gruppo di studenti italiani in
visita in Belgio. Ebbene, costoro non chiesero agli accompagnatori di andare a
visitare la miniera maledetta in cui perirono tanti, troppi minatori, fra cui
136 italiani, ma chiesero di andare a vedere la casa del pedofilo che trucidò
alcune bambine. Può essere questo il risultato eclatante della mancanza di una
vera ed incisiva informazione di ritorno! Ecco che l’informazione di ritorno
non è una "optional" ma un obbligo, un dovere di far conoscere non l’Italia
degli spaghetti e del mandolino che ci siamo portati chiusi nella valigia
emigrando, ma l’Italia che lavora, che produce, che progredisce e che talvolta
- dimenticata - patisce, versando sangue e rimanendo chiusa nel proprio orgoglio
e nel proprio dolore. È assolutamente necessario rendere appetibile al mondo
dei media italiani il "Sistema Emigrazione" che è quello di non
guardare al passato, ma di seguire l’evoluzione in corso, di non calcare la
nostalgia, ma di aprire gli occhi sul nuovo che avanza e che molte volte, in
questo campo, può offrire spunti per capire altri fenomeni contemporanei
complessi, come quello dell’immigrazione (e qui mi pare che proprio il
Ministro Tremaglia l’8 agosto dello scorso anno a Marcinelle parlò chiaro al
riguardo), costringendo così la società italiana ad un esercizio complesso, ma
civilmente utile, qual’è quello della educazione alla multiculturalità, al
rispetto delle singole identità culturali e linguistiche, come ha scritto
recentemente Laura Capuzzo. L’informazione di ritorno deve anche servire a
creare dei ponti, dei collegamenti, con il mondo della produzione e della
imprenditoria per collegare quel vasto patrimonio rappresentato dalle "business
community" che purtroppo viene ancora trascurato. Informazione di ritorno
che deve contribuire all’internazionalizzazione dell’Italia, alla
globalizzazione dell’Italia nel mondo con il coinvolgimento, in prima linea,
delle nostre collettività che sono state inserite, ricordiamolo, a pieno titolo
nella "Costituzione repubblicana" e sono parte integrante del
"Sistema Italia", che si realizzerà con l’esercizio del voto.
Qualcuno sostiene, a ragione, che la carta vincente in questo campo può essere
la regionalità. Il giornale regionale o la TV locale possono diventare il
destinatario ultimo di un flusso di informazione che riguarda i corregionali all’estero.
Un flusso di informazione che può nascere in ognuno dei Paesi stranieri dove vi
è una presenza italiana, che si alimenta nel confronto con realtà consimili di
altri Paesi e con la realtà italiana, superando il muro dell’indifferenza e
penetrando nel tessuto informativo delle Regioni, acquistando così visibilità
ed interesse. Dopo la clamorosa ritirata di alcuni grandi quotidiani italiani
pubblicati in alcuni Paesi d’Oltremare non possiamo non ricordare il ruolo, la
funzione, il peso che il mondo dei micromedia italiani hanno da sempre svolto,
nella quasi totale indifferenza. È mai possibile che le grandi aziende private
e di Stato non capiscano e non comprendano che i primi utenti nel mondo dei loro
prodotti sono gli italiani emigrati? Sono loro che hanno cambiato il palato ai
tedeschi, vestito interi popoli, propagando il turismo culturale (e non solo) in
Italia. Se però andiamo a guardare quanta pubblicità queste rinomate aziende
riservano alla stampa italiana all’estero, constatiamo che questa è Zero!
Perciò, da questo pulpito, io chiedo che finalmente alle testate italiane all’estero
venga riservata una fetta della pubblicità istituzionale. Bisogna riaffermare
con forza ed energia la centralità della stampa in lingua italiana che si
pubblica all’estero, delle emittenti radio e televisive locali perché
svolgono, talvolta in silenzio, un ruolo insostituibile di informazione, di
integrazione, di difesa dei propri diritti e di salvaguardia delle singole
identità. Sono un patrimonio da render forte e competitivo, attraverso
iniziative mirate che tengano conto delle nuove tecnologie informatiche, della
necessità di una maggiore qualificazione professionale degli operatori e dell’ammodernamento
obbligato delle strutture redazionali. Ruolo, questo, che viene riproposto e
sottolineato con forza ed urgenza a seguito della clamorosa chiusura di alcuni
quotidiani nazionali teletrasmessi nei paesi d’Oltremare, smentendo quei
"corvi" della burocrazia che remano contro i media della diaspora
rappresentati da quasi 400 testate, di cui oltre 200 giornali e riviste, con una
tiratura annua che supera i 100 milioni di copie, 150 radio, 30 televisioni, e
che dispongono di 2.500 dipendenti circa. A qualcuno, all’interno delle
istituzioni che mette in dubbio il grande valore di questo patrimonio,
rispondiamo con un’affermazione fatta da Vittorio Briani, esperto e profondo
conoscitore delle "nostre cose" che sulle testate italiane all’estero
e sui suoi operatori nel lontano 1975 scrisse: "Sono stati accusati di
tutto e del contrario di tutto: di campanilismo, retorica, inettitudine,
provincialismo, velleità letterarie, toni aulici, demagogia e così via:
difetti da cui, peraltro, non sempre risultano immuni gli stessi interpreti
della stampa italiana all’interno. L’aspetto che qui preme mettere in
rilievo è un altro: la grande generalità dei quotidiani e periodici che si
sono stampati e che si stampano in terra straniera non sono nati, tranne poche
eccezioni, da una combinazione finanziaria adeguata o dall’accordo di
interessi volti ad uno scopo comune, o comunque da una iniziativa che abbia
saputo commisurare preventivamente i mezzi necessari ai fini da raggiungere. Il
giornalismo italiano all’estero è generalmente il risultato di una istintiva
passione: il più delle volte è nato da una protesta, qualche altra da una
ribellione, se non addirittura da uno stato di sofferenza. Il fatto che in
qualche circostanza si sia potuto tralignare, che si sia verificato qualche caso
isolato di speculazione personale, non consente assolutamente di generalizzare;
non significa che, come motivo di fondo, non si ritrovino pur sempre i segni
della solidarietà nazionale, i legami di una comune idealità espressi non
fosse altro dal volersi mantenere fedeli ed uniti nella italianità della nuova
Italia". E ritorno al documento di base del Tavolo tematico n. 5 "Informazione
e Comunicazione", che sottopongo al Vostro giudizio ricordandovi che è il
risultato di un lavoro unitario di confronto e proposta scaturito fra CGIE,
rappresentanti delle Regioni e delle Istituzioni governative. Documento in cui
si delineano alcune chiare linee programmatiche che il Governo, il Parlamento e
le Regioni devono tradurre subito in concrete iniziative e proposte legislative,
se vogliamo adempiere agli impegni che quasi tutti ci siamo presi nei confronti
della nostra emigrazione. Un’ultima osservazione che è emersa durante gli
incontri preparatori di questa Conferenza: è assolutamente necessario ricercare
una concreta armonizzazione degli interventi nel campo dell’informazione e
della comunicazione che le Regioni già realizzano, creando una "cabina di
regia" permanente, realizzando una legge quadro che tenga anche conto del
ruolo che istituzionalmente lo Stato italiano sarà obbligato a svolgere in
questo strategico settore. Legge che renda anche più trasparente ed omogenee le
tante iniziative che le Regioni in silenzio fanno e che, se coordinate,
avrebbero sicuramente più efficacia e rispondenza all’estero. Grazie!