Relazione di Bruno Zoratto alla Conferenza Stato Regioni CGIE

Verso una strategia nuova che "informi" e "comunichi" con le nostre comunità

Bruno ZorattoRecentemente, la coordinatrice del Gruppo di lavoro "Giornalisti italiani nel mondo" istituito presso l’Ordine dei Giornalisti ebbe a dichiarare: "Mi riesce difficile capire come sia possibile che un Paese "dimentichi" di fatto una fetta consistente di suoi cittadini sparsi per il mondo, coltivando distrattamente un rapporto con loro attraverso le testate italiane all’estero e trascurando del tutto la possibilità che i connazionali in Patria siano tenuti al corrente delle loro vicende". Ciò è stato possibile perché gli italiani all’estero erano soggetti abbandonati ed isolati dal contesto nazionale, considerati talvolta dei soli ed esclusivi concentrati di problemi e rivendicazioni senza diritti, che solo qualche sperduto burocrate registrava nell’esercizio delle sue funzioni. Sarebbe infantile affermare che con l’esercizio del voto all’estero i tanti problemi della nostra emigrazione siano risolti. Siamo nel giusto, però, quando affermiamo che l’elezione di 18 rappresentanti diretti delle nostre collettività nel Parlamento italiano, oltre a porre fine ad una assurda discriminazione, inserisce a pieno titolo nel "Sistema Italia" milioni di cittadini italiani che risiedono all’estero, finora abbandonati e misconosciuti. Questo fatto destabilizzante, oltre a squinternare le logiche antiche e perverse, permetterà obbligatoriamente un approccio nuovo al problema della informazione e della comunicazione degli italiani nel mondo. Se prima era una "optional", ora vi è un obbligo istituzionale di informare - ripeto informare - adeguatamente le nostre collettività. La legge ordinaria sull’esercizio del voto all’estero, approvata il 20 dicembre dal Senato, tra l’altro contempla non a caso dei riferimenti obbligatori alla informazione e alla comunicazione delle nostre comunità. Da qui, a mio modesto parere, deve partire il nostro ragionamento per riconsiderare tutto quello che abbiamo detto e ripetuto nelle varie conferenze e far fare un salto di qualità sugli argomenti e sulle soluzioni proposte ai singoli problemi e che abbiamo sviscerato sino alla nausea. Le Istituzioni, il Parlamento, il Governo, le Regioni, il CGIE assieme ai Comites devono porsi realisticamente di fronte al problema della informazione e della comunicazione in modo moderno ed adeguato, superando il concetto unidirezionale dell’informazione tendente a favorire esclusivamente chi si informa di quello che succede in Italia, puntando anche ad una informazione di carattere bidirezionale, se non addirittura - come qualche addetto ai lavori ha dichiarato - grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie, circolare. Senza voler filosofare e tanto meno sognare, deve essere chiaro a tutti che ora sta iniziando una nuova primavera che nessuno potrà ignorare e che deve dare concrete risposte alle questioni aperte che conosciamo e che quotidianamente si presentano. In tutto questo un problema chiave, oserei dire fondamentale, lo riveste l’informazione di ritorno che giustamente il CGIE, ma anche il Ministro degli Italiani nel mondo, hanno messo al centro della loro attenzione. Recentemente il Presidente del Comites di Charleroi, che è anche membro del nostro Consiglio, mi raccontò che, guidata da alcuni insegnanti, era giunta in quella grigia città della Vallonia un gruppo di studenti italiani in visita in Belgio. Ebbene, costoro non chiesero agli accompagnatori di andare a visitare la miniera maledetta in cui perirono tanti, troppi minatori, fra cui 136 italiani, ma chiesero di andare a vedere la casa del pedofilo che trucidò alcune bambine. Può essere questo il risultato eclatante della mancanza di una vera ed incisiva informazione di ritorno! Ecco che l’informazione di ritorno non è una "optional" ma un obbligo, un dovere di far conoscere non l’Italia degli spaghetti e del mandolino che ci siamo portati chiusi nella valigia emigrando, ma l’Italia che lavora, che produce, che progredisce e che talvolta - dimenticata - patisce, versando sangue e rimanendo chiusa nel proprio orgoglio e nel proprio dolore. È assolutamente necessario rendere appetibile al mondo dei media italiani il "Sistema Emigrazione" che è quello di non guardare al passato, ma di seguire l’evoluzione in corso, di non calcare la nostalgia, ma di aprire gli occhi sul nuovo che avanza e che molte volte, in questo campo, può offrire spunti per capire altri fenomeni contemporanei complessi, come quello dell’immigrazione (e qui mi pare che proprio il Ministro Tremaglia l’8 agosto dello scorso anno a Marcinelle parlò chiaro al riguardo), costringendo così la società italiana ad un esercizio complesso, ma civilmente utile, qual’è quello della educazione alla multiculturalità, al rispetto delle singole identità culturali e linguistiche, come ha scritto recentemente Laura Capuzzo. L’informazione di ritorno deve anche servire a creare dei ponti, dei collegamenti, con il mondo della produzione e della imprenditoria per collegare quel vasto patrimonio rappresentato dalle "business community" che purtroppo viene ancora trascurato. Informazione di ritorno che deve contribuire all’internazionalizzazione dell’Italia, alla globalizzazione dell’Italia nel mondo con il coinvolgimento, in prima linea, delle nostre collettività che sono state inserite, ricordiamolo, a pieno titolo nella "Costituzione repubblicana" e sono parte integrante del "Sistema Italia", che si realizzerà con l’esercizio del voto. Qualcuno sostiene, a ragione, che la carta vincente in questo campo può essere la regionalità. Il giornale regionale o la TV locale possono diventare il destinatario ultimo di un flusso di informazione che riguarda i corregionali all’estero. Un flusso di informazione che può nascere in ognuno dei Paesi stranieri dove vi è una presenza italiana, che si alimenta nel confronto con realtà consimili di altri Paesi e con la realtà italiana, superando il muro dell’indifferenza e penetrando nel tessuto informativo delle Regioni, acquistando così visibilità ed interesse. Dopo la clamorosa ritirata di alcuni grandi quotidiani italiani pubblicati in alcuni Paesi d’Oltremare non possiamo non ricordare il ruolo, la funzione, il peso che il mondo dei micromedia italiani hanno da sempre svolto, nella quasi totale indifferenza. È mai possibile che le grandi aziende private e di Stato non capiscano e non comprendano che i primi utenti nel mondo dei loro prodotti sono gli italiani emigrati? Sono loro che hanno cambiato il palato ai tedeschi, vestito interi popoli, propagando il turismo culturale (e non solo) in Italia. Se però andiamo a guardare quanta pubblicità queste rinomate aziende riservano alla stampa italiana all’estero, constatiamo che questa è Zero! Perciò, da questo pulpito, io chiedo che finalmente alle testate italiane all’estero venga riservata una fetta della pubblicità istituzionale. Bisogna riaffermare con forza ed energia la centralità della stampa in lingua italiana che si pubblica all’estero, delle emittenti radio e televisive locali perché svolgono, talvolta in silenzio, un ruolo insostituibile di informazione, di integrazione, di difesa dei propri diritti e di salvaguardia delle singole identità. Sono un patrimonio da render forte e competitivo, attraverso iniziative mirate che tengano conto delle nuove tecnologie informatiche, della necessità di una maggiore qualificazione professionale degli operatori e dell’ammodernamento obbligato delle strutture redazionali. Ruolo, questo, che viene riproposto e sottolineato con forza ed urgenza a seguito della clamorosa chiusura di alcuni quotidiani nazionali teletrasmessi nei paesi d’Oltremare, smentendo quei "corvi" della burocrazia che remano contro i media della diaspora rappresentati da quasi 400 testate, di cui oltre 200 giornali e riviste, con una tiratura annua che supera i 100 milioni di copie, 150 radio, 30 televisioni, e che dispongono di 2.500 dipendenti circa. A qualcuno, all’interno delle istituzioni che mette in dubbio il grande valore di questo patrimonio, rispondiamo con un’affermazione fatta da Vittorio Briani, esperto e profondo conoscitore delle "nostre cose" che sulle testate italiane all’estero e sui suoi operatori nel lontano 1975 scrisse: "Sono stati accusati di tutto e del contrario di tutto: di campanilismo, retorica, inettitudine, provincialismo, velleità letterarie, toni aulici, demagogia e così via: difetti da cui, peraltro, non sempre risultano immuni gli stessi interpreti della stampa italiana all’interno. L’aspetto che qui preme mettere in rilievo è un altro: la grande generalità dei quotidiani e periodici che si sono stampati e che si stampano in terra straniera non sono nati, tranne poche eccezioni, da una combinazione finanziaria adeguata o dall’accordo di interessi volti ad uno scopo comune, o comunque da una iniziativa che abbia saputo commisurare preventivamente i mezzi necessari ai fini da raggiungere. Il giornalismo italiano all’estero è generalmente il risultato di una istintiva passione: il più delle volte è nato da una protesta, qualche altra da una ribellione, se non addirittura da uno stato di sofferenza. Il fatto che in qualche circostanza si sia potuto tralignare, che si sia verificato qualche caso isolato di speculazione personale, non consente assolutamente di generalizzare; non significa che, come motivo di fondo, non si ritrovino pur sempre i segni della solidarietà nazionale, i legami di una comune idealità espressi non fosse altro dal volersi mantenere fedeli ed uniti nella italianità della nuova Italia". E ritorno al documento di base del Tavolo tematico n. 5 "Informazione e Comunicazione", che sottopongo al Vostro giudizio ricordandovi che è il risultato di un lavoro unitario di confronto e proposta scaturito fra CGIE, rappresentanti delle Regioni e delle Istituzioni governative. Documento in cui si delineano alcune chiare linee programmatiche che il Governo, il Parlamento e le Regioni devono tradurre subito in concrete iniziative e proposte legislative, se vogliamo adempiere agli impegni che quasi tutti ci siamo presi nei confronti della nostra emigrazione. Un’ultima osservazione che è emersa durante gli incontri preparatori di questa Conferenza: è assolutamente necessario ricercare una concreta armonizzazione degli interventi nel campo dell’informazione e della comunicazione che le Regioni già realizzano, creando una "cabina di regia" permanente, realizzando una legge quadro che tenga anche conto del ruolo che istituzionalmente lo Stato italiano sarà obbligato a svolgere in questo strategico settore. Legge che renda anche più trasparente ed omogenee le tante iniziative che le Regioni in silenzio fanno e che, se coordinate, avrebbero sicuramente più efficacia e rispondenza all’estero. Grazie!