Registi e regime

di Ferdinando Adornato Tratto da "Il Giornale" del 10/10/2003

Ettore Scola e Bernardo Bertolucci hanno cortesemente voluto replicare ad alcune considerazioni da me svolte nell'Aula di Montecitorio il giorno dell'approvazione della legge Gasparri. Il tema è assai delicato e importante: "la libertà nell' era Berlusconi", perciò credo valga la pena di non lasciar cadere un utile occasione di confronto, soprattutto se essa coinvolge alcuni tra i più affermati artisti italiani. Ricapitolo la questione per comodità del lettore. Com'è noto la sinistra italiana da sempre sostiene, e lo ha ripetuto con grande virulenza proprio in occasione della Gasparri, che il conflitto d'interesse che riguarda il presidente del Consiglio mette a repentaglio la sostanza stessa della nostra democrazia soffocando, attraverso un controllo totale e onnivoro, la libertà dell'informazione e della cultura. Ebbene, a tale inesauribile tormentone, mi è sembrato giusto rispondere ricordando come esso tragga origine da un antico black-out ideologico della sinistra che considera il concetto di proprietà intrinsecamente antitetico a quello di libertà. In altri termini: è evidente che in Italia c'è una situazione proprietaria anomala: lo stesso Berlusconi non lo ho mai negato. Ma da questo si può automaticamente ricavare la conclusione che da noi sia in pericolo la libertà dell'informazione?

Chi ragiona con onestà sa benissimo che non è così. Non solo essa non è in pericolo ma, al contrario, la maggioranza dei media italiani non è proprio filogovernativa. Anzi, é sostanzialmente antigovernativa. Inoltre la proprietà berlusconiana di Mediaset non proibisce affatto a quell'impresa una grande libertà espressiva. Che strano dittatore sarebbe mai questo nostro premier, la cui casa editrice diffonde i libri dei capi dell'opposizione e le cui tv tra "Zelig", "Striscia la notizia", il "Costanzo show", le "Iene" tutto fanno meno che incensare il capo? Il più seguito telegiornale del gruppo, poi, il Tg5, è universalmente riconosciuto come un modello d'imparzialità. Quanto alla Rai basta far riferimento all'ultimo Bonolis per rendersi contro di quale spietato "controllo autoritario" Berlusconi abbia imposto a viale Mazzini. La medesima realtà investe anche il nostro cinema. A chi parla di "regime culturale" va infatti ricordato ciò che forse pochi italiani sanno: e cioè che Roberto Benigni, Bernardo Bertolucci, Ettore Scola, Aldo Giovanni e Giacomo, Paolo Virzì, Giuseppe Tornatore, Gabriele Salvatores, quindi anche alcuni tra i più schietti contestatori del premier e dell'attuale maggioranza, diffondono la loro creatività e le loro idee, in Italia e nel mondo, grazie alla Medusa, casa di produzione e di distribuzione legata a Mediaset. Intendiamoci, non c'è nulla di straordinario: Mediaset non fa certo una gentile concessione. Si tratta della normale logica di un'impresa culturale. Quel che è straordinario, invece, è continuare a sostenere il contrario, gridando che le proprietà di Berlusconi opprimerebbero la libertà.

Eccoci arrivati al punto che mi ha guadagnato le pubbliche obiezioni di Scola e di Bertolucci. Il primo, con una dichiarazione da Annecy, riportata sulla "Repubblica" del 6 ottobre, ha detto: "essendo il cinema scomparso come imprenditoria, Berlusconi è rimasto senza concorrenza. L'alternativa è semplice: continuare con lui o non fare più film". Il secondo, così come si é appreso da alcuni lanci di agenzia del 7 ottobre e dal "Corriere della Sera" del giorno successivo, ha invece così replicato: " Il problema non è che la Medusa appartenga a Berlusconi, ma che il proprietario della Medusa sia anche presidente del Consiglio". Bertolucci ha poi ricordato che il suo contratto con la Medusa risale al '97: "Tornatore e Scola la avevano già, e la cosa mi sembrò legittima".

Non credo di sbagliare se dico che entrambe le risposte hanno solo girato intorno al tema da me sollevato. In qualche modo, infatti, entrambi rispondono come se io li avessi accusati di incoerenza morale o di collusione con quello che loro considerano "il nemico": "che dobbiamo fare, c'è solo lui…" Niente di tutto ciò. Non ho titolo né vocazione a giudicare la coscienza altrui e, in ogni caso, penso che una critica di questo tipo potrebbe piuttosto provenire da girotondisti ambienti di sinistra. Scola si lamenta poi del semi-monopolio della Medusa. Ha sicuramente ragione nel denunciare la povertà dell'imprenditoria cinematografica italiana che spesso ha costretto anche lui a ricorrere ai sussidi statali: ma ancora una volta non era questo ciò di cui io ho parlato. Bertolucci, infine, ripropone il conflitto d'interesse: non si può essere insieme proprietario della Medusa e presidente del Consiglio. Non discuto: anzi ripeto che ciò non è talmente vero che lo stesso Berlusconi non lo ha mai negato.

No, caro Scola e caro Bertolucci, il tema da me sollevato è un altro. Lo ripeto: come conseguenza di tutti i conflitti d'interesse e monopoli proprietari possibili, immaginabili e legittimamente denunciabili, si può affermare, come la sinistra fa in modo abilmente ossessivo, che in Italia la libertà dell'informazione e della cultura siano negate da un regime autoritario? I giornalisti possono scrivere ciò che vogliono? I registi possono fare i film che credono? Questo e solo questo è il "grande inganno" culturale che io ho contestato. E che, per ciò che vi riguarda, appare ampiamente contraddetto dalle vostre stesse creazioni. Creazioni di liberi uomini d'arte e di liberi intellettuali di sinistra diffuse anche grazie a Medusa e Mediaset ("The Dreamers", per altro, è un film dichiaratamente "politico").

Personalmente nutro grande stima per Scola e Bertolucci. Non ho visto tutti i loro film ma mi bastano "C'eravamo tanto amati" e "Il conformista" per considerarli tra i più grandi artisti italiani (e non solo). Ebbene se proprio da loro, proprio perché di sinistra, proprio perché antiberlusconiani, proprio perché denunciano il conflitto d'interesse, venisse una parola di verità, (la nostra libertà è promossa, non minacciata, dalle imprese di Berlusconi) forse questo nostro Paese perderebbe molto meno tempo dietro fantasmi ideologici e palesi bugie, riuscendo a discutere con maggiore serietà i veri nodi del proprio futuro. Anche di quello della cultura.