La spallata del
leader dell’Unione ricorda i vecchi tempi della lottizzazione. Piazza Santi
Apostoli non è piazza del Gesù. Ma per l’ex democristiano Romano Prodi, ora
leader dell’Unione, c’è tanta nostalgia. Vorrebbe imitare quei segretari che
sedevano nella scrivania che era stata di Alcide De Gasperi. E’ sempre stato a
stretto contatto con i segretari di partito che si sono succeduti dalla metà
degli anni Settanta (fu lui che in una seduta spiritica tirò fuori il nome di
Gradoli, dov’era il covo delle Br che rapirono e uccisero Aldo Moro nel 1979).
Particolare feeling con Mino Martinazzoli (sinistra Dc) e Ciriaco De Mita. Anche
lui c’era nel salone di piazza del Gesù quando venivano convocate riunioni dei
massimi manager delle Partecipazioni statali e di tutti i “gran commis” dello
Stato designati in questi posti di vertice dall’allora Dc. Prodi è finito così
due volte al vertice dell’Iri e la stanza all’angolo di via Veneto era non solo
la stanza dei bottoni ma anche la sede dove si decidevano le sorti della Rai. L’azionista
di maggioranza era l’Iri e Prodi ha fatto e disfatto consigli di amministrazione,
ha partecipato a riunioni che fissavano i tempi e modi del superamento del
regime di monopolio televisivo con la divisione della Rai nei tre tronconi,
quasi autonomi, di Raiuno, Raidue, Raitre. E fu attraverso un accordo in casa di
Antonio Tatò (portavoce di Enrico Berlinguer) che venne decisa l’assegnazione
del Tg3 e della Terza rete ai comunisti, che designarono Curzi e Angelo
Guglielmi. Era il 1979. Sono passati 25 anni. I governi di centrosinistra hanno
fatto il bello e cattivo tempo in viale Mazzini. Hanno imposto nomi, direttori,
consiglieri di amministrazione. Ora alla vigilia delle elezioni regionali il
leader dell’Unione Romano Prodi ha deciso di dare una spallata all’attuale
assetto della Rai. Non gli piace niente e grida “all’emergenza democratica, alla
faziosità dell’informazione televisiva, alla lesione dei diritti garantiti dalla
Costituzione”. Una provocazione politica che cozza con la verità dei fatti. Le
bugie di Prodi hanno le gambe corte. Basti sintonizzarsi in qualcuna delle tante
trasmissioni delle Tre reti o della radio per constatare quanto la presenza
degli esponenti della sinistra sindacale e politica sia massiccia anche con un
Consiglio di amministrazione nominato dai presidenti di Camera e Senato,
provenienti dalla Casa delle libertà. I principali conduttori del Tg1 (David
Sassoli, Maria Grazia Busi, Tiziana Ferrario, Paolo Digiannantonio) sono
esponenti dell’Usigrai e ricoprono cariche nel sindacato dei giornalisti (maggioranza
di sinistra). Il “quirinalista” Paolo Giuntella (il giornalista che segue tutte
le atti vità del presidente della Repubblica Ciampi) è uno dei leader del
sindacato. Il direttore di Rainews24, Roberto Morrione, leader con Giulietti
dell’Usigrai, è stato il capoufficio stampa di Prodi nel 1996 con l’Ulivo. I
giornalisti Rai eletti con le sinistre vanno da Piero Badaloni (presidente della
Regione Lazio ora corrispondente a Berlino) a Clemente Mastella (in organico
alla Rai di Napoli come il diessino Paolo Raffaelli, sindaco di Terni nella sede
di Perugia). In aspettativa sono anche Giuseppe Giulietti (Rai Venezia), gli
eurodeputati Lilli Gruber (Tg1) e Michele Santoro (Tg3). L’elenco per Tg3 e
Retetre è presto fatto: orientato a sinistra il novanta per cento dell’organico.
Culturalmente di sinistra tre dei principali corrispondenti all’estero: Antonio
Caprarica a Londra, Sergio Canciani a Mosca, Paolo Longo a Pechino, Neliana
Terzigni in Medioriente, Corradino Mineo a New York.