Egregio direttore, intervengo sul tema dell’integrazione europea nel
tentativo di fare un po’ di chiarezza e di rendere noti all’opinione
pubblica i reali termini della questione, perlomeno per quel che riguarda la
giustizia. Occorre innanzitutto premettere che, da parte mia e della forza
politica a cui appartengo, non è affatto in discussione la necessità di un
cammino di integrazione europea. La questione, infatti, non è «Europa sì»
oppure «Europa no». La domanda, piuttosto, è: «Quale Europa vogliamo?».
Esistono di fronte a noi diverse possibili strade per costruire l’Europa del
futuro. Una è quella che possiamo definire il «super- Stato europeo». Si
tratterebbe di una stretta unione politica, nella quale i diversi Stati
nazionali europei annullerebbero la propria identità, devolvendo la sovranità
a un governo centrale. Oltre trecento milioni di persone governate da pochi
individui, con un largo potere ai tecnocrati, secondo una concezione hegeliana
dello Stato. Personalmente non condivido affatto questa posizione. Anzi, la
giudico antidemocratica e non mi pare di essere il solo a farlo. Non solo la
Lega, infatti, sostiene con forza la necessità di costruire un modello diverso,
un’Europa dei popoli basata su una confederazione di Stati che, in una logica
di sussidiarietà, mantengono la propria sovranità e devolvono soltanto alcune
funzioni all’Unione. Sembra ormai che la più parte delle forze politiche, in
Italia e nel resto del Continente, condividano questa seconda impostazione e
indichino soluzioni confederali o federali per l'Europa del futuro. Molti
commentatori dicono di sostenere queste tesi. A parole, dunque, sembra questa la
strada preferita dai più. Eppure, nei fatti le cose stanno andando diversamente
ed è questo che va segnalato con forza all'opinione pubblica. Se da un lato,
infatti, la fase costituente della nuova Europa non è ancora propriamente
cominciata, dall'altro già da tempo si sta costruendo l'ordinamento giuridico
europeo, attraverso la formulazione e l'approvazione di provvedimenti definiti
«decisioni-quadro», che una volta approvate dai ministri hanno carattere
cogente e superano le legislazioni statuali. Ciò sta avvenendo, naturalmente,
anche in un tema particolarmente delicato quale quello della giustizia, che
media il rapporto tra libertà individuali ed esigenze sociali di ordine e di
sicurezza. Insomma, si stanno già facendo le leggi per l'Europa di domani, e
questo prima ancora che sia iniziato il processo di elaborazione della
Costituzione europea. E non è tutto: queste leggi non vanno nella auspicata
direzione di una entità politica confederale o federale, ma prefigurano l'avvento
di un super-Stato centralista. Credo che sia questo il punto cruciale, sul quale
porre la nostra attenzione: da un lato, cioè, si dice che nessuno vuole un
super-Stato, ma invece nei fatti esso è già in costruzione, giorno dopo giorno,
e il paradosso è che chi cerca di opporsi a questa costruzione - lo ripeto:
già in atto - viene tacciato di anti-europeismo e conseguentemente sottoposto a
durissime critiche. Porterò degli esempi concreti. Partiamo dalla nota
decisione quadro sul mandato d'arresto europeo, quella che consentirà a un
pubblico ministero di un qualsiasi Paese europeo di arrestare un cittadino
italiano o di qualunque altro Paese europeo, anche in via cautelativa prima del
processo, per un lungo elenco di reati. Gli ordinamenti liberali di solito
riconoscono solide garanzie di difesa all'imputato e il diritto a essere
giudicato da un giudice naturale. Sulla decisione-quadro europea vi sono molti
dubbi al riguardo. Si veda in proposito il parere di eminenti costituzionalisti
sull'evidente contrasto di questo testo con i nostri principi costituzionali. La
necessità di una rapida approvazione della decisione quadro sul mandato
d'arresto europeo è stata motivata con l'emergenza terroristica. A nulla è
valsa la mia osservazione che bastava, per contrastare le organizzazioni
criminali terroristiche, mettersi d'accordo su una lista più contenuta di reati,
sulla falsariga del trattato italo-spagnolo. Il testo, alla fine, è stato
approvato dopo poco più di due mesi di discussione. Per inciso, le norme sulla
cooperazione giudiziaria rafforzata, meno pregnante rispetto al mandato
d'arresto europeo, sono state esaminate per anni prima di essere varate. In
questo modo, i cittadini di tutta Europa si sono trovati con un importante
strumento giuridico approvato sopra le loro teste, non dai parlamenti da loro
eletti ma da un consesso di quindici persone. Il testo è stato varato, voglio
sottolinearlo, prima ancora di sapere quali saranno i principi costituzionali in
materia di giustizia, prima ancora di sapere quali garanzie costituzionali noi
europei avremo a tutela della nostra libertà. Ribadisco: della nostra libertà.
Perché di questo si sta parlando, della nostra libertà, non delle ormai
celebri misure del cetriolo, che pure i solerti burocrati di Bruxelles hanno
voluto fissare una volta per tutte. Un discorso simile vale anche per il caso
più recente della normativa sul congelamento dei beni. In questo caso, i
quindici ministri della Giustizia europei hanno posto basi legislative destinate
a toccare aspetti di un altro diritto importantissimo per i trecento milioni di
cittadini europei: il diritto alla proprietà. Ancora pochi giorni fa, proprio
in occasione della discussione sulla decisione quadro sul congelamento dei beni,
ho sollevato nuovamente in Consiglio dei ministri questi interrogativi: è
giusto quello che stiamo facendo? Non stiamo correndo troppo? Non stiamo
costruendo, con questa raffica di decisioni-quadro, la struttura giudiziaria di
un super-Stato europeo? Non ho ricevuto alcuna risposta in merito, se non
qualche pretestuosa polemica. Posso intuire uno dei motivi che hanno portato i
ministri ad approvare comunque la decisione quadro: la pressione esercitata
dalla stampa e dalla nomenklatura europea è talmente forte che, pur coltivando
delle perplessità, molti non se la sentono di affrontare il linciaggio morale
che segue qualunque atteggiamento critico verso un provvedimento europeo. Chi
pone domande, infatti, sfida il pensiero unico dominante, quello dell'Europa «a
tutti i costi». Da parte mia, al fine di costruire uno spazio giuridico
coerente con il concetto di Stato federale, ritengo ci si debba ispirare agli
Stati Uniti, dove qualsiasi decisione di un giudice di uno Stato che voglia
agire nei confronti di un cittadino di un altro Stato, deve passare al vaglio
dell'autorità giudiziaria di quest'ultimo. Nella stessa Gran Bretagna, che pur
non presenta un federalismo accentuato come quello statunitense, il prosecutor
scozzese non può agire nei confronti di un cittadino dell'Inghilterra, se non
passando attraverso il collega inglese. Di fronte quindi a questa schizofrenia,
per la quale da un lato si dichiara a piena voce che si vuole un'entità
politica confederale o al massimo federale e dall'altro si costruisce il
super-Stato, cosa potrà accadere? Non dovrebbe essere la Convenzione a decidere
in merito? A che titolo io e i miei colleghi possiamo anticipare una
configurazione statuale rispetto ai lavori della Convenzione? Nessuno ha ancora
risposto in modo convincente a queste domande. A mio parere, si possono
immaginare due scenari. Primo: la Convenzione non terrà conto delle decisioni
quadro nella formazione della Costituzione e le normative in contrasto con essa
verranno successivamente abrogate dalla futura Corte Costituzionale Europea.
Secondo: la Convenzione prenderà atto delle decisioni quadro e ne assimilerà i
principi nel testo costituzionale. Nel primo caso, noi ministri europei della
giustizia avremo solo fatto un lavoro forse inutile, nel secondo, avremo
indirettamente favorito la nascita di un super-Stato dai tratti, a mio avviso,
illiberali. È chiaro, in gioco c'è il futuro di tutti gli europei. E non
contano soltanto la mia opinione personale o del Governo sui singoli
provvedimenti europei e tanto meno sull'Europa. Credo indispensabile, a questo
punto, che si avvii quanto prima in tutto il Continente un dibattito ampio e
approfondito sulle modalità in atto di costruzione dell'Europa. La storia delle
civiltà, che registra una prevalenza di ordinamenti oligarchici o illiberali,
ci dimostra che la democrazia e la libertà sono beni preziosi e fragili, da non
considerare mai scontati e da difendere giorno per giorno. Con questo spirito,
in occasione della recente decisione quadro in materia di congelamento dei beni,
ho esercitato, insieme ad altri sei Paesi, lo strumento della riserva
parlamentare, che condiziona l'approvazione del provvedimento al voto dell'assemblea
che rappresenta direttamente la sovranità popolare. Con questo strumento
intendo portare all'attenzione dell'opinione pubblica italiana tutti i
provvedimenti europei in materia di giustizia, diritti e libertà, facendone
materia di dibattito nel Parlamento e nel Paese.