Quale Europa?

«Le mie domande sull’Europa a cui nessuno sa rispondere» lettera di Roberto Castelli, Ministro della Giustizia, al Corriere della Sera del 9 marzo 2002. 

Il ministro CastelliEgregio direttore, intervengo sul tema dell’integrazione europea nel tentativo di fare un po’ di chiarezza e di rendere noti all’opinione pubblica i reali termini della questione, perlomeno per quel che riguarda la giustizia. Occorre innanzitutto premettere che, da parte mia e della forza politica a cui appartengo, non è affatto in discussione la necessità di un cammino di integrazione europea. La questione, infatti, non è «Europa sì» oppure «Europa no». La domanda, piuttosto, è: «Quale Europa vogliamo?». Esistono di fronte a noi diverse possibili strade per costruire l’Europa del futuro. Una è quella che possiamo definire il «super- Stato europeo». Si tratterebbe di una stretta unione politica, nella quale i diversi Stati nazionali europei annullerebbero la propria identità, devolvendo la sovranità a un governo centrale. Oltre trecento milioni di persone governate da pochi individui, con un largo potere ai tecnocrati, secondo una concezione hegeliana dello Stato. Personalmente non condivido affatto questa posizione. Anzi, la giudico antidemocratica e non mi pare di essere il solo a farlo. Non solo la Lega, infatti, sostiene con forza la necessità di costruire un modello diverso, un’Europa dei popoli basata su una confederazione di Stati che, in una logica di sussidiarietà, mantengono la propria sovranità e devolvono soltanto alcune funzioni all’Unione. Sembra ormai che la più parte delle forze politiche, in Italia e nel resto del Continente, condividano questa seconda impostazione e indichino soluzioni confederali o federali per l'Europa del futuro. Molti commentatori dicono di sostenere queste tesi. A parole, dunque, sembra questa la strada preferita dai più. Eppure, nei fatti le cose stanno andando diversamente ed è questo che va segnalato con forza all'opinione pubblica. Se da un lato, infatti, la fase costituente della nuova Europa non è ancora propriamente cominciata, dall'altro già da tempo si sta costruendo l'ordinamento giuridico europeo, attraverso la formulazione e l'approvazione di provvedimenti definiti «decisioni-quadro», che una volta approvate dai ministri hanno carattere cogente e superano le legislazioni statuali. Ciò sta avvenendo, naturalmente, anche in un tema particolarmente delicato quale quello della giustizia, che media il rapporto tra libertà individuali ed esigenze sociali di ordine e di sicurezza. Insomma, si stanno già facendo le leggi per l'Europa di domani, e questo prima ancora che sia iniziato il processo di elaborazione della Costituzione europea. E non è tutto: queste leggi non vanno nella auspicata direzione di una entità politica confederale o federale, ma prefigurano l'avvento di un super-Stato centralista. Credo che sia questo il punto cruciale, sul quale porre la nostra attenzione: da un lato, cioè, si dice che nessuno vuole un super-Stato, ma invece nei fatti esso è già in costruzione, giorno dopo giorno, e il paradosso è che chi cerca di opporsi a questa costruzione - lo ripeto: già in atto - viene tacciato di anti-europeismo e conseguentemente sottoposto a durissime critiche. Porterò degli esempi concreti. Partiamo dalla nota decisione quadro sul mandato d'arresto europeo, quella che consentirà a un pubblico ministero di un qualsiasi Paese europeo di arrestare un cittadino italiano o di qualunque altro Paese europeo, anche in via cautelativa prima del processo, per un lungo elenco di reati. Gli ordinamenti liberali di solito riconoscono solide garanzie di difesa all'imputato e il diritto a essere giudicato da un giudice naturale. Sulla decisione-quadro europea vi sono molti dubbi al riguardo. Si veda in proposito il parere di eminenti costituzionalisti sull'evidente contrasto di questo testo con i nostri principi costituzionali. La necessità di una rapida approvazione della decisione quadro sul mandato d'arresto europeo è stata motivata con l'emergenza terroristica. A nulla è valsa la mia osservazione che bastava, per contrastare le organizzazioni criminali terroristiche, mettersi d'accordo su una lista più contenuta di reati, sulla falsariga del trattato italo-spagnolo. Il testo, alla fine, è stato approvato dopo poco più di due mesi di discussione. Per inciso, le norme sulla cooperazione giudiziaria rafforzata, meno pregnante rispetto al mandato d'arresto europeo, sono state esaminate per anni prima di essere varate. In questo modo, i cittadini di tutta Europa si sono trovati con un importante strumento giuridico approvato sopra le loro teste, non dai parlamenti da loro eletti ma da un consesso di quindici persone. Il testo è stato varato, voglio sottolinearlo, prima ancora di sapere quali saranno i principi costituzionali in materia di giustizia, prima ancora di sapere quali garanzie costituzionali noi europei avremo a tutela della nostra libertà. Ribadisco: della nostra libertà. Perché di questo si sta parlando, della nostra libertà, non delle ormai celebri misure del cetriolo, che pure i solerti burocrati di Bruxelles hanno voluto fissare una volta per tutte. Un discorso simile vale anche per il caso più recente della normativa sul congelamento dei beni. In questo caso, i quindici ministri della Giustizia europei hanno posto basi legislative destinate a toccare aspetti di un altro diritto importantissimo per i trecento milioni di cittadini europei: il diritto alla proprietà. Ancora pochi giorni fa, proprio in occasione della discussione sulla decisione quadro sul congelamento dei beni, ho sollevato nuovamente in Consiglio dei ministri questi interrogativi: è giusto quello che stiamo facendo? Non stiamo correndo troppo? Non stiamo costruendo, con questa raffica di decisioni-quadro, la struttura giudiziaria di un super-Stato europeo? Non ho ricevuto alcuna risposta in merito, se non qualche pretestuosa polemica. Posso intuire uno dei motivi che hanno portato i ministri ad approvare comunque la decisione quadro: la pressione esercitata dalla stampa e dalla nomenklatura europea è talmente forte che, pur coltivando delle perplessità, molti non se la sentono di affrontare il linciaggio morale che segue qualunque atteggiamento critico verso un provvedimento europeo. Chi pone domande, infatti, sfida il pensiero unico dominante, quello dell'Europa «a tutti i costi». Da parte mia, al fine di costruire uno spazio giuridico coerente con il concetto di Stato federale, ritengo ci si debba ispirare agli Stati Uniti, dove qualsiasi decisione di un giudice di uno Stato che voglia agire nei confronti di un cittadino di un altro Stato, deve passare al vaglio dell'autorità giudiziaria di quest'ultimo. Nella stessa Gran Bretagna, che pur non presenta un federalismo accentuato come quello statunitense, il prosecutor scozzese non può agire nei confronti di un cittadino dell'Inghilterra, se non passando attraverso il collega inglese. Di fronte quindi a questa schizofrenia, per la quale da un lato si dichiara a piena voce che si vuole un'entità politica confederale o al massimo federale e dall'altro si costruisce il super-Stato, cosa potrà accadere? Non dovrebbe essere la Convenzione a decidere in merito? A che titolo io e i miei colleghi possiamo anticipare una configurazione statuale rispetto ai lavori della Convenzione? Nessuno ha ancora risposto in modo convincente a queste domande. A mio parere, si possono immaginare due scenari. Primo: la Convenzione non terrà conto delle decisioni quadro nella formazione della Costituzione e le normative in contrasto con essa verranno successivamente abrogate dalla futura Corte Costituzionale Europea. Secondo: la Convenzione prenderà atto delle decisioni quadro e ne assimilerà i principi nel testo costituzionale. Nel primo caso, noi ministri europei della giustizia avremo solo fatto un lavoro forse inutile, nel secondo, avremo indirettamente favorito la nascita di un super-Stato dai tratti, a mio avviso, illiberali. È chiaro, in gioco c'è il futuro di tutti gli europei. E non contano soltanto la mia opinione personale o del Governo sui singoli provvedimenti europei e tanto meno sull'Europa. Credo indispensabile, a questo punto, che si avvii quanto prima in tutto il Continente un dibattito ampio e approfondito sulle modalità in atto di costruzione dell'Europa. La storia delle civiltà, che registra una prevalenza di ordinamenti oligarchici o illiberali, ci dimostra che la democrazia e la libertà sono beni preziosi e fragili, da non considerare mai scontati e da difendere giorno per giorno. Con questo spirito, in occasione della recente decisione quadro in materia di congelamento dei beni, ho esercitato, insieme ad altri sei Paesi, lo strumento della riserva parlamentare, che condiziona l'approvazione del provvedimento al voto dell'assemblea che rappresenta direttamente la sovranità popolare. Con questo strumento intendo portare all'attenzione dell'opinione pubblica italiana tutti i provvedimenti europei in materia di giustizia, diritti e libertà, facendone materia di dibattito nel Parlamento e nel Paese.

Sull'europeismo del governo Berlusconi, concorda anche il Cancelliere tedesco Gerhard Scröder, che ha affermato, dopo l'incontro italo tedesco di Trieste: «Wir halten uns nur an das, was Du sagst», per noi conta soltanto quello che dici tu.