William indossava il completo del Vasco da Gama e aveva i capelli tinti di giallo oro. Sporco e con l'inconfondibile alito di colla di calzolaio. Lo incontro per la prima volta nella cattedrale di Nova Iguaçu in una delle mie incursioni a caccia di meninos de rua. In quell' epoca lavoravo come volontario per la Casa do menor di padre Renato Chiera, dicembre 1998 al mio terzo viaggio. All'inizio William era uno dei tanti che tentavo di strappare alla vita randagia della strada e che, ad un certo punto, decide di seguirmi fino all'istituzione di padre Renato Chiera per stare in una casa famiglia. Dopo 15 giorni la fuga. La fuga di un ragazzo di strada era routine per me e ogni volta é un dolore. Questa volta il dolore é diverso, la ferita più profonda, un vuoto mi destabilizza. Per un operatore di strada l'insuccesso costituisce il pane quotidiano, non capisco lo stordimento di fronte all'ennesimo vai e vieni di un moccioso di dodici anni.
Vado a cercarlo, lo incontro già interamente consegnato alla colla, lo riporto alla Casa do Menor dove vi rimane solo tre giorni. Non lo inseguo. Ho bisogno di capire. Anche perché si avvicina l'ora delle scelte. Sta maturando l'idea di mollare tutto in Italia e di dedicarmi alla missione in Brasile dove penso di aver trovato il mio posto, dove penso di realizzare la mia leggenda personale.
Nel settembre del 2000 sono a Rio per completare l 'acquisto dei Centro di Bonsucesso e, seguendo un flebile indizio, sono di nuovo sulle tracce dì William. Quando, dopo quasi un anno, lo rincontro in una piazza di Rio, capisco in un lampo che ci cercavamo, lui per scorgere un padre ed io un " filho de verdade", ma non riuscivamo a trovarci. Ora ce l`ho di fronte, occhio spento dalla colla. “Tio - mi fa con disarmante sincerità - non voglio tornare alla Casa di Padre Renato, non ho bisogno di cibo e vestiti: qui in strada ho tutto ciò che voglio, quando voglio..” . Chiaro, chiarissimo! « Willy - gli rispondo ripassando le parole che avevo ripetuto tra me e me per più di un anno - sono qui per prenderti con me. Voglio che tu venga a stare insieme a me come figlio sotto lo stesso tetto" " - 'V'aleo, Tio, valeo''. È fatta, siamo famiglia. Tanto più che mia madre scende fino a Rio per conoscerlo e Marzia lo battezza insieme a me. E' dicembre 2000: si parte a gonfie vele. Per prima tento di riconsegnarlo alla legittíma madre, ma senza successo: il figlio l'accusa non averlo mai cercato. Il padre lo aveva perso qualche anno fa. Un infarto lo aveva portato via senza lasciare troppi rimpianti - pare che il tizio avesse più considerazione per il cane che per lui. Cominciamo una difficile vita in comune a Bonsucesso. Problemi dì relazione, difficoltà di adattamento a regole minime di convivenza ed il legame ancora vivo con le droghe, da me sottovalutato, fecero per rendere ben presto quello che poteva un indizio di famiglia, la complicata trama di un menage senza pace. Dopo l'ennesimo conflitto William va via seguendo il forte richiamo della vita randagia e delle droghe.
Per quasi due mesi perdo ogni contatto. So che dorme con i cani, prende la scabbia. So che quasi muore per overdose di colla. So che devo aspettarlo. Sprofondo nella preghiera. Resisto ad ogni deriva della disperazione fino a quando lo vedo rispuntare, testabassa, sul portone di casa. L'accoglienza e il perdono ad un patto: affrontare apertamente la dipendenza dalle droghe. Individuiamo un percorso difficile ma possibile tenendo aperto un dialogo più franco. E questo papà improvvisato gli deve la vita. Sera del 2 novembre 2002. Piove. Usciamo per comprare un panino. Senza che io possa reagire, tre proiettili mi colpiscono. Una sparatoria, normale nel nostro far-west tropicale. Tre colpi: uno al braccio sinistro, il secondo alla schiena, il terzo di striscio al collo. Mio figlio, miracolosamente illeso, vince l'orrore, mi carica sulle sue acerbe spalle e comincia a chiedere aiuto. La corsa all' ospedale e il grande sollievo: posso tornare a casa con nulla di grave. Nel miracolo di una vita riguadagnata, vedo per la prima volta William piangere le sue lacrime sul mio sangue. Forse è la fine di un lungo travaglio e siamo finalmente padre e figlio. Forse…
Il trasferimento a Nova Iguaçu, in una realtà più tranquilla rispetto a Bonsucesso, significò un netto e sensibile miglioramento nella dinamica tra noi due.
Ma la maledizione della droga rese impossibile andare avanti. Arile 2004 e William è di nuovo fuori dalla mia orbita. Mi telefona spesso tra la nostalgia e la determinazione: indietro non si torna è solo questione di tempo. Lo stanno minacciando di morte e io non posso fare niente. Il 27 febbraio 2005 l'ultima telefonata e l'ultimo avviso. Il giorno dopo mio figlio muore con dieci colpi di arma da fuoco insieme a Joao Paulo che pure abbiamo tentato di aiutare.
Dio mi concede la grazia di ricomporne la salma e di dargli degna sepoltura. E' il 2 marzo 2005 e vorrei consolarlo nelle tenebre perché lui, William il terribile aveva paura del buio. Vorrei stare li al suo fianco ancora una volta, per baciare tutti i buchi aperti dalla fredda lega dei proiettili. E sfidarlo in un duello alla playstation fino all'alba dove avrei aspettato per vederlo, docile addormentarsi nella mia guardia. In questi momenti di sconforto mi ritornano in mente le ragioni del mio impegno in Brasile: gli otto meninos de rua sterminati ai piedi della Candelaria il 23 luglio del 1993. Dall' eco di quelle morti, scaturì l'impegno solenne per la Vita , la missione permanente per alimentare la speranza. Ora vorrei continuare questa lotta anche in nome di mio figlio e intitolargli un oratorio, un piccolo centro di accoglienza per i ragazzi di strada a Copacabana. Un avamposto in prima linea, quindi, dove nessuno vuole più starci.
Un oratorio WiLLLAM DA CRUZ per tenere accesa una piccola fiamma controvento.
Aiutateci anche voi a sconfiggere le tenebre!