Occidente ricco perche' oppressore?

Un indiano sfata il luogo comune - da Il Foglio, 20 giugno 2003

Dettaglio di castigo pubblico in piazza Sant'Anna, a Rio de Janeiro, disegno di João Maurício RugendasL’idea che l’America e l’Occidente siano diventati ricchi grazie all’oppressione e allo sfruttamento è sostenuta con passione da molti intellettuali e attivisti. In Occidente, la tesi dello sfruttamento è invocata, da Jesse Jackson e da altri, per richiedere il pagamento di centinaia di miliardi di dollari agli afro-americani e agli abitanti del Terzo mondo come riparazione per lo schiavismo e il colonialismo. Estremisti islamici come Osama bin Laden ripetono sempre che il mondo musulmano è povero proprio perché l’Occidente è ricco, e usano l’oppressione dell’Occidente come pretesto per scatenare la violenza, nella forma del terrorismo, contro la popolazione civile americana.

Dunque, l’Occidente si è davvero arricchito a spese delle minoranze e del Terzo mondo per mezzo dei gravi crimini della schiavitù e del colonialismo? E’ una tesi difficile da sostenere, perché non c’è nulla di specificamente occidentale nello schiavismo e nel colonialismo. L’Occidente ha avuto i propri imperi, ma la stessa cosa vale anche per i persiani, i mongoli, i cinesi e i turchi. Gli inglesi hanno governato il mio paese, l’India, per circa duecento anni. Ma prima degli inglesi, l’India era già stata invasa e occupata dai persiani, dai mongoli, dai turchi, dagli afghani e dagli arabi. L’Inghilterra è stata soltanto la settima o l’ottava potenza coloniale a stabilirsi sul suolo indiano. Se il colonialismo non è un’istituzione occidentale, lo stesso si può dire anche dello schiavismo. Lo schiavismo è stata una caratteristica di tutte le civiltà conosciute. I cinesi lo hanno avuto, e così anche l’India. Era diffuso in tutta l’Africa, e gli indiani americani lo conoscevano già molto prima dell’arrivo di Colombo.

Ciò che è specificamente occidentale non è lo schiavismo ma il movimento per la sua abolizione. Al di fuori della civiltà occidentale non si conosce alcun esempio storico di attivismo antischiavista. Naturalmente, in ogni civiltà, gli schiavi si sono opposti con forza al loro asservimento. In tutte le società schiavistiche, fughe e rivolte erano all’ordine del giorno. Ma soltanto in Occidente è sorto un movimento, non di schiavi ma di potenziali proprietari di schiavi, che si è opposto per principio allo schiavismo.

Questo atteggiamento tipicamente occidentale si coglie perfettamente nella seguente osservazione di Abraham Lincoln: “Siccome non intendo essere uno schiavo, non intendo nemmeno essere un padrone”. E’ comprensibile che Lincoln non volesse essere uno schiavo; ma, e qui sta la cosa importante, non voleva neppure essere un padrone. Rifiutò in blocco la schiavitù, e fu pronto a spendere una grande quantità di denaro e poi anche a versare molto sangue per distruggere quell’istituzione. Durante la guerra civile, centinaia di migliaia di uomini bianchi morirono per portare la libertà agli afro-americani, che non erano in grado di ottenerla da soli.

Tenendo conto di questi fatti indiscutibili, quale deve essere il nostro giudizio sulla questione delle riparazioni? La mia opinione sull’argomento è stata espressa con grande chiarezza da Muhammed Ali. Dopo la sua vittoria in Zaire su George Foreman per il titolo mondiale dei pesi massimi, al ritorno negli Stati Uniti un giornalista gli domandò: “Campione, cosa ne pensi dell’Africa?”. Cassius Clay rispose: “Grazie a Dio mio nonno fu preso su quella nave”. […]

La verità di queste considerazioni porta a ripensare la questione delle riparazioni. L’idea della riparazione è sbagliata, non solo perché gli uomini che vivono oggi non hanno nessuna colpa per i danni dello schiavismo e del colonialismo, ma anche perché i discendenti di coloro che subirono la schiavitù e il dominio straniero oggi stanno molto meglio di quanto non sarebbe avvenuto se i loro antenati non fossero stati presi schiavi e se non fossero stati sottomessi al controllo europeo. Per quanto sia riluttante ad ammetterlo, Jesse Jackson vive una vita molto migliore in America di quella che gli sarebbe stata riservata in Etiopia o in Ghana.

Se non sono stati l’oppressione e lo sfruttamento a rendere ricco e potente l’Occidente, cos’è stato allora? La risposta è che l’Occidente ha inventato tre istituzioni che non erano mai prima esistite: la scienza, la democrazia e il capitalismo. Ognuna di queste istituzioni si fonda su un universale impulso dell’uomo che, nella storia dell’Occidente, si è dato una forma istituzionale molto specifica.

Cominciamo con la scienza. Naturalmente tutti i popoli vogliono conoscere il mondo. I cinesi hanno registrato le eclissi, gli indiani hanno inventato lo zero, i maya hanno creato complicati calendari. Ma la scienza, che significa esperimento e verifica, nonché un “metodo scientifico” definito da uno scrittore l’“invenzione delle invenzioni”, è una creazione dell’Occidente.

Proprio come l’impulso a imparare, anche quello a barattare e commerciare è universale. I popoli di tutte le culture si scambiano beni per reciproco vantaggio. Il denaro non è un’invenzione occidentale. Ma il capitalismo, che implica i diritti di proprietà e le corti giuridiche in grado di farli rispettare, il libero commercio e la borsa valori, nonché le istituzioni del credito e i libri contabili a partita doppia, è un sistema che si è sviluppato in Occidente.

Infine, anche la partecipazione tribale al governo è un fenomeno universale, ma la democrazia, che richiede elezioni, separazione e trasferimento pacifico dei poteri, nonché sistemi di controllo e bilancio, è un’istituzione occidentale. Con tutto ciò non si vuole negare che l’Occidente, come tutte le altre culture, non si sia dimostrato arrogante e oppressivo quando ne ha avuto la possibilità. L’oppressione e lo sfruttamento, tuttavia, non sono stati la causa del successo occidentale, bensì il frutto di quel successo.

Chi afferma che l’America e l’Occidente sono diventati ricchi a spese di altri popoli si sbaglia di grosso. La vera causa della ricchezza e della potenza occidentale è il rapporto dinamico tra scienza, capitalismo e democrazia. Lavorando in collaborazione, queste istituzioni hanno creato la nostra società commerciale, tecnologica e partecipativa.

Dinesh D’Souza

© The Washington Times (traduzione di Aldo Piccato)