I legali della famiglia Craxi esprimono la forte soddisfazione per il
pronunciamento della Corte di Strasburgo che ha condannato la giustizia italiana
che ha ripetutamente violato nel caso Craxi il principio cardine del Giusto
Processo. “E’ una soddisfazione – ha aggiunto Bobo Craxi – perché fu
palese sin dall’inizio l’accanimento giudiziario contro mio padre Bettino e
il reiterato ed irrispettoso comportamento del tribunale milanese che lo
condannò violando norme, quelle del Giusto Processo, che oggi sono scolpite nel
nostro ordinamento legislativo. Bettino Craxi ebbe ragione due volte, la prima a
ritenersi perseguitato dalla giustizia che usò due pesi e due misure, la
seconda a voler appellarsi alla Corte Europea per i Diritti Umani, questo
pronunciamento favorevole che condanna l’Italia giustizialista è dedicato
alla sua memoria.”
Vittoria postuma anche se simbolica, ieri a Strasburgo, per Bettino Craxi e la sua famiglia. La Corte europea dei diritti umani ha accolto parzialmente il ricorso che l'ex-premier socialista aveva presentato contro lo stato italiano nel 1997 e ha condannato l'Italia per violazione dell'articolo sei della convenzione di Strasburgo sull'equo processo. In particolare i giudici europei hanno ritenuto in contrasto con i comma 1 e 3b dell'articolo 6 il fatto che nel processo Eni-Sai Craxi sia stato condannato, a 5 anni e 6 mesi nel dicembre 1994, sulla base di deposizioni scritte rese da testimoni o da coimputati che non furono chiamati a deporre durante il processo. Una facoltà consentita allora dalla legge italiana, e che in seguito è stata abolita. L'articolo sei della Convenzione europea dei diritti umani sancisce il principio che ogni imputato ha il diritto di interrogare o di fare interrogare dai propri legali le persone che lo accusano. Questo diritto, per i giudici di Strasburgo, è stato violato ai danni di Craxi nel processo Eni-Sai. La Corte ha sottolineato in particolare come la stessa Corte di Cassazione italiana in una sentenza del novembre 1996 abbia rilevato che Craxi è stato «condannato esclusivamente sulla base delle dichiarazioni pronunciate prima del processo da coimputati (Cusani, Molino e Ligresti) che si sono astenuti dal testimoniare e di una persona poi morta (Cagliari)». I difensori di Craxi «non hanno potuto contestare le dichiarazioni che hanno costituito la base legale della condanna», hanno aggiunto i giudici europei. La corte di Strasburgo ha invece respinto gli altri due punti del ricorso di Craxi, nel quale l'ex-premier aveva denunciato di non avere potuto organizzare adeguatamente la propria difesa e di essere stato condannato anche a causa di una campagna di stampa condotta nei suoi confronti che avrebbe influenzato i giudici. La sentenza della Corte non prevede sanzioni o risarcimenti specifici. La causa davanti alla giustizia europea era stata avviata da Craxi, allora ad Hammamet, nel ’97. Dopo la sua morte, nel gennaio 2000, la famiglia aveva deciso di portare avanti il ricorso. L’ex pm Antonio Di Pietro, che non si occupò della vicenda Eni-Sai, difende ugualmente i suoi ex colleghi del pool di Mani Pulite: «I magistrati si limitarono ad applicare la legge che c'era».