Ma Previti non e' Sofri

di Ferdinando Adornato. Tratto da Il Giornale del 22 /10/2002

Il senatore Previti e Sofri (da Famiglia Cristiana n.45 del 12-11-97)Ovviamente non so se Cesare Previti sia innocente o colpevole. Così come non sapevo e non so se innocente o colpevole fosse Adriano Sofri. Ma so, perché è evidente dalle cronache di questi giorni, che per gran parte della nostra sinistra essi non godono “pari dignità” di esseri umani. Nella tabella evolutiva della gauche il cittadino Previti, infatti, sta un grado sotto, catalogato in una specie inferiore non meritevole della stessa “attenzione giuridica” del cittadino Sofri. Forse, ricordando quel che recitava il presidente Mao, la vita di P. viene considerata “più leggera di quella di una piuma”, quella di S. al contrario, “più pesante di una montagna”.

Intendiamoci: non c’è alcuna relazione tra i delitti contestati (nel primo caso corruzione, nel secondo omicidio) né alcun legame storico e culturale tra le due vicende. C’è solo, a rendere cruciale il paragone, un piccolissimo trait d’union etico-giuridico: entrambi i loro processi sono stati ritenuti, dalla maggioranza degli addetti ai lavori e dell’opinione pubblica, privi delle cosidette “prove storiche”. In una parola, processi puramenti indiziari.

La campagna “per Sofri” (prima e dopo la sentenza) è ancora nella nostra memoria. Per ciò che riguarda Previti valga, per tutti, l’insospettabile giudizio espresso dalla “Repubblica” di ieri, dopo le esose richieste di condanna della Boccassini, per la penna di uno dei suoi cronisti d’assalto, Giuseppe D’Avanzo: “ Il processo milanese è un processo indiziario, non c’è la pistola fumante, non c’è il reo che confessa, non c’è la lettera conservata in cassaforte che certifica… Non ci sono prove storiche nel processo milanese. Ci sono prove indiziarie (prova critica o critico-indiziaria dicono i sapienti”).

Bene: solo che nel caso di Previti sono stati inscenati indignati appelli, infuocati girotondi, rumorose proteste parlamentari perché egli non potesse in alcun modo sottrarsi all’ offensiva “puramente indiziaria” orchestrata dai Pm. Nel caso di Sofri, all’opposto, appelli, proteste e manifestazioni sono state rivolte tutte contro i magistrati e uno dei più sofisticati intellettuali italiani, Carlo Ginzburg, ha persino scritto un libro, nello stile con il quale Zola difese Dreyfuss, per cercare di dimostrare come il processo Sofri si inscrivesse nel quadro delle più efferate costruzioni ideologico-giudiziarie di tutti i tempi.

Ma c’è di più: il pentito dal quale era partita l’accusa contro Sofri, Leonardo Marino, venne dipinto dai media (non solo da quelli di sinistra) nei modi più infami, una sorta di “frittellaro” senza arte né parte né scrupoli, volto cinicamente e unicamenteme alla caccia di soldi. Stefania Ariosto, invece, la teste-chiave contro Previti è stata a lungo presentata come una sorta di eroina flaubertiana che aveva saputo rompere la comoda e perbenistica omertà del proprio presunto clan. Ancora: i difensori “garantisti” di Previti sono stati trattati come una sorta di servi del padrone avidamente tesi a difendere i privilegi dei potenti e stigmatizzati dalla parola “vergogna” (ripetutamente gridata alla Camera). I difensori “garantisti” di Sofri, al contrario, erano tutti impavidi alfieri dei diritti dell’individuo.

E’ proprio quello che si voleva dimostrare: Previti, in quanto potente, avvocato di Berlusconi, deputato della Casa della libertà, esponente di una certa borghesia romana, non è fino in fondo un individuo e un cittadino. Dunque, Cesare non “habeat corpus”. Sofri, invece, in quanto non-potente, raffinato intellettuale di sinistra, membro di un élite superiore, è individuo con tutti i crismi genetici, cittadino all’ennesima potenza. Perciò Adriano “habeat corpus”. Ulteriore prova di questo allucinante teorema sia la circostanza che l’ala giustizialista del vecchio Pci non si mosse in difesa di Sofri fino a che lo considerò un “amico” di Craxi e Martelli. Insomma il “non molto politicamente corretto” leader di Lotta Continua si trovò, per qualche tempo, nella stessa “infame” condizione di Previti.

La morale della favola è una sola e, purtroppo, assai triste. Gran parte della cultura della sinistra assume, di fronte al concetto di giustizia, una posizione ideologica e morale. Se sei un avversario e se fai parte di certi ambienti diventi figlio di un dio minore. Se invece sei un amico e godi di corrette frequentazioni, entri nell’Olimpo degli “aventi diritto”. Nel primo caso sarai sottoposto ad una violenta campagna di delegittimazione morale, fino alla pubblica esecrazione. Nel secondo diventerai l’icona di una nobile lotta di libertà. La simpatia e l’antipatia, il personale schieramento nell’immaginaria lotta tra Bene (sinistra) e Male (destra), l’appartenenza a questa o a quella élite, diventano così la vera prova del nove per decidere del tuo ingresso nella tribù umana degli individui di serie A o, viceversa, della tua pubblica discesa agli Inferi.

Da questo punto di vista (e solo da questo punto di vista) il caso Sofri e il caso Previti possono fornire un utile termometro della nostra cultura pubblica, in particolare di quella della sinistra. Le presunzioni di colpevolezza o di innocenza dei singoli, siano essi politici, giornalisti o magistrati, non contano nulla: ogni supposizione non può che essere arbitraria. Ma, appunto, per fare giustizia non bastano supposizioni, ci vogliono prove. E sono proprio quelle che i pm di Milano non sono stato in grado di esibire, facendo soltanto uso di quei teoremi ideologici e morali che vogliono Cesare Previti figlio di un Dio minore.