Le vispe Simone

di Davide Giacalone da L'Opinione on line

Le inchieste sul pagamento di un riscatto, per il rilascio delle due ragazze rapite in Iraq, ivi comprese quelle della magistratura, non hanno molto senso. I rapitori hanno avuto qualche cosa in cambio, ed è stato un bene salvare quelle due vite. Ma, in Italia, il pagamento di un riscatto è un reato, motivo per il quale di dichiarazioni ufficiali non ce ne saranno, e, ove ci siano, saranno di diniego. Colpisce, però, la serafica inconsapevolezza delle due ragazze. Sono state salvate dal lavoro dei servizi segreti, dai canali informali di trattativa, possibili sotto la copertura dell’esercito, dalle somme di denaro, ed ora che sono tornate in Italia vaneggiano di rapitori buoni e cortesi, di gente animata da spirito religioso, di uomini che chiedono scusa, dell’opportunità di ritirare le truppe, di iracheni che soffrono.

E di iracheni che soffrono ce ne sono di sicuro, solo che non si capisce in base a quale spirito umanitario li si debba lasciare nelle mani dei loro aguzzini. Mi ha colpito una riflessione di Simona Torretta: “sarà banale, ma quando credi che non ti resti altro tempo da vivere pensi che sia troppo presto”. E’ verissimo, ha ragione. Ricordo come un incubo le parole di Kim Sun-Il, un ostaggio sud coreano nelle mani dei rapitori iracheni: non voglio morire, gridava piangendo, voglio vivere, sono troppo giovane per morire, troppo giovane, poi la voce si smorzava, ed inspirando ripeteva: troppo giovane. Gli hanno tagliato la gola, davanti alla telecamera, lasciandolo rantolare con il sangue sgorgante e la vita che se ne andava.

Non mi era parsa l’azione di uomini pervasi di spirito religioso, cortesi nei modi, pronti a presentare le scuse, cui tornare in visita con animo devoto. Ringrazino il cielo, se ci credono, ringrazino l’Italia, le due ragazze, ringrazino il fatto che i loro rapitori fossero gente corruttibile e non integerrimi macellai, e la piantino di dire castronerie.