Le bugie hanno le gambe corte

(Anche quelle delle mortadelle)

Roma - mercoledì 10 settembre 2003

In un articolo su Il Tempo di Roma, Fosca Bincher afferma che l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi non poteva occuparsi direttamente della trattativa con Slobodan Milosevic sull'acquisto di Telekom Serbia da parte della Stet. Il giorno decisivo per la formalizzazione dell'intesa Prodi infatti si trovava in Croazia. Dove probabilmente tentava di verificare la possibilità di un accordo telefonico alternativo. Quei tre giorni fra il 14 e il 16 gennaio 1997 sembrerebbero, rivisti ora, un film straordinario dell'avventura balcanica tentata dal governo dell'Ulivo. La stessa mattina a Belgrado erano atterrati due aerei provenienti da Roma. Uno trasportava il sottosegretario agli Esteri italiano, Piero Fassino, in visita ufficiale per incontrare il ministro degli esteri serbo, Milutinovic. Il secondo, un aereo privato, aveva a bordo l'allora direttore generale di Telecom Italia, Tomaso Tommasi di Vignano, che nove giorni dopo sarebbe diventato il nuovo amministratore delegato della Stet destinata a fondersi con Telecom Italia e ad essere privatizzata. Tommasi di Vignano era atteso dal presidente serbo, Milosevic, dallo stesso Milutinovic e da alti papaveri del regime proprio per mettere a punto l'affaire Telekom Serbia. Per questo il povero Fassino fu costretto a una lunga ed umiliante anticamera insieme all'allora ambasciatore italiano a Belgrado, Francesco Bascone. Un'attesa resa ancora più snervante dal breve capolino fatto da Milutinovic, per dire: "di cosa dobbiamo parlare con voi? Perchè, sapete, ho fretta. Le questioni importanti le stiamo trattando di là con il signor Tommasi...". In quello stesso momento da Roma stava levandosi in volo un aereo di Stato. Con destinazione Zagabria. A bordo il presidente del Consiglio, Prodi. E, a sorpresa, anche l'amministratore delegato della Stet in carica, Ernesto Pascale. Obiettivo: mettere a punto in Croazia qualche buon affare telefonico, che Prodi appoggiava come premier italiano in carica. Non c'è scandalo. Non fosse che ancora oggi Prodi sostiene di essersi sempre disinteressato delle acquisizioni estere di società pubbliche. Anzi, di non esserne mai stato informato. Nel '97 però fu lo stesso Prodi attraverso un comunicato stampa a fornire i particolari di quel viaggio di affari nei Balcani. Un episodio chiave in una settimana molto delicata per i rapporti fra Prodi e la telefonia italiana. Perchè proprio mentre l'allora presidente del Consiglio di trovava a Zagabria, lo raggiunse la notizia di un tradimento: quello di Fausto Bertinotti. Che aveva bocciato il decreto per la privatizzazione della Stet. Allarme rosso. Tanto che il ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, fu costretto a precipitarsi a Bruxelles tranquilizzando la commissione europea sui programmi di privatizzazione italiani. Tre giorni chiave che ora dovranno essere ricostruiti in ogni dettaglio dalla commissione parlamentare di inchiesta. Anche perchè quegli avvenimenti stridono con la ricostruzione ufficiale dei fatti compilata (copiando un articolo dell'ex presidente Consob Luigi Spaventa sul Corriere della Sera) dallo stesso Prodi con un lungo comunicato. Cinque paginette grazie a cui il fondatore dell'Ulivo si è detto convinto di avere ristabilito la verità: "Ho deciso", ha spiegato Prodi, "di rendere pubblica la mia ricostruzione dei fatti perchè la verità un giorno o l'altro deve venire fuori. Credo che questo ponga fine a tante polemiche, con serenità, senza aggressioni, ma con il senso che la giustizia deve prevalere".

Sempre su Il Tempo, Chris Bonface scrive: Un titolo che più chiaro ed evocativo di così non avrebbe potuto essere. «I Telefoni salvano Milosevic». Quasi la sintesi di una relazione finale della commissione su Telekom Serbia. Scritta però il lontano 5 giugno 1997 da un giornalista, Guido Rampoldi. E proprio con quel titolo pubblicata la mattina seguente sul suo giornale, Repubblica,. Con un sommario in cui c’era già dentro tutto. «Maxi accordo con la Stet, 1.500 miliardi nelle casse di Belgrado. Il leader strangolato dalla crisi impone il pagamento in contanti di due terzi della cifra. Una boccata d’ossigeno in vista della campagna elettorale per le presidenziali di autunno...». Mancavano 4 giorni alla firma ufficiale fra Stet e la Ptt serba per l’acquisto della partecipazione telefonica dello scandalo. Il quotidiano diretto da Eugenio Scalfari però era già in grado di offrire dettagli di quell’accordo che allora non suscitarono alcuna curiosità. Ma che 4 anni dopo sarebbero stati al centro di una serie di inchieste-scoop dello stesso quotidiano e ora sono il nocciolo centrale di indagini giudiziarie e inchieste parlamentari. Non è dato sapere se Scalfari apprezzò o meno le rivelazioni ( qualche mese prima pubblicamente prese le distanze dalla vignetta di Giorgio Forattini che commentava con sarcasmo il ribaltone al vertice della Stet, vedasi fotoriproduzione in cima all’articolo). Fondamentale poi la notizia del pagamento in contanti di due terzi della somma, circa mille miliardi. Non solo non smentita dai diretti interessati, ma addirittura calata in un assordante silenzio. Come una frase dell’articolo. «Meno scontata è la presenza di una società italiana in un affare che non poteva essere avviato senza l’incoraggiamento, o almeno il silenzio-assenso della Farnesina (...)L’opposizione serba probabilmente si sdegnerà contro Dini, ribattezzato Slobo-Dini...»

E loro dicono che non ne sapevano niente!