Il
comune di Milano ha approvato, con il voto della maggioranza di centrodestra, l’apposizione
in piazza Duomo di una targa commemorativa in onore di Bettino Craxi. Così
replica Antonio Di Pietro: «Ben venga una targa commemorativa per Bettino Craxi
a piazza Duomo, a condizione però che nella targa siano indicati i titoli di
quando era in vita: politico e latitante». In teoria, dichiarazioni di questa
natura avrebbero dovuto aprire un caso politico grave nel centrosinistra.
Qualche recriminazione di Enrico Boselli ci sarà, ma si sa che, nel
centrosinistra, la storia del Psi è considerata dalla maggior parte della
coalizione una storia di criminali ed è più facile trovare sostegno alle
affermazioni di Di Pietro che a quelle di Boselli. I Ds, che teoricamente sono
iscritti all’Internazionale socialista, dovrebbero opporre al proprio alleato un
severo aut aut. O ritira quanto affermato, oppure, in nome dell’eredità
socialista di cui dovrebbero essere portatori, rompono l’alleanza con lui. Ma
questo, si sa, non accadrà mai.
L’intervista rilasciata al Giornale da Stefania Craxi denuncia che la questione socialista, in Italia, non è ancora chiusa, anzi è chiusa ma in senso radicalmente opposto a quel che si crede sia il naturale approdo dei socialisti. Come per Chiara Moroni, che ha recentemente espresso contrarietà ad accordi con l’Unione, anche per la Craxi non è (solo) una questione famigliare, ma politica. Le etichette «destra» o «sinistra» poco sembrano valere quando c’è di mezzo un’eredità politica e Stefania Craxi sembra volersi candidare alla guida della corrente laico-riformista del futuro partito unitario del centrodestra, poiché intravede solo nella Cdl la possibilità di far valere quei valori di cui il Psi era portatore. Del resto, gli unici attacchi alla storia del Psi vengono oggi ancora dalla sinistra italiana e non dal centrodestra: qualche giorno fa Gianfranco Fini, in un incontro con Stefania Craxi, ricordava come il leader socialista fu il primo a “sdoganare” il Msi, trattandolo da interlocutore politico di livello pari agli altri. E, se per un breve periodo di circa due anni, i missini si fecero attrarre dalla furia giustizialista di Mani Pulite, i conti con quella storia An li ha saldati pienamente. E il dialogo tra la Craxi e la destra lo testimonia. «Un socialista non può sedere accanto a Di Pietro, non può riconoscere leader un cattolico dossettiano come Prodi che si caratterizza per avere svenduto aziende di Stato e costruito l'Europa delle banche e delle burocrazie», dice Stefania Craxi. E all’obiezione che i socialisti non possono che stare a sinistra replica: «Tutti dicono: “Se fossimo in Inghilterra, staremmo con Blair”. Nessuno si chiede dove starebbe Blair se fosse in Italia». E infatti, tra la sinistra italiana Blair non sembra proprio essere gradito.
I Ds pensano che per essere socialisti sia sufficiente l’iscrizione all’Internazionale socialista o al Partito socialista europeo (alla cui adesione degli ex comunisti ha contribuito proprio lo scomparso leader del Psi). Ma essere socialisti in Italia comporta che si facciano i conti con il socialismo italiano. E il socialismo italiano ha significato Filippo Turati, Giacomo Matteotti, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat e Bettino Craxi e tutto il loro patrimonio culturale e politico. Finché ai ritratti di questi leader si continueranno a preferire alle pareti quelli di Gramsci, Togliatti, Berlinguer e via dicendo, i Ds resteranno sempre un triste partito ex comunista, come un qualsiasi partito ex comunista dell’Europa dell’Est. E continueranno ad avere la necessità della legittimazione esterna: Prodi oggi, Rutelli ieri, ancora Prodi l’altro ieri.
L'immagine è tratta dal sito: www.gossip.it