L'eurocrazia consuma l'Europa

Intervista a Renato Brunetta di Alessandro Gianmoena - 17 giugno 2005

\\\\\\\\\\\\\\renato BrunettaProfessor Brunetta, ritiene che le valutazioni dell'Eurostat circa il deficit italiano 2003/2004 siano contestabili?

Eurostat, l'ufficio statistico europeo, fa il suo lavoro. Quello «zero virgola uno», di correzione al rialzo dei nostri conti pubblici, deriva, infatti, dalla consultazione tecnica operata da un comitato ad hoc che ha interpretato, diversamente dai nostri tecnici, alcune voci di bilancio. La consultazione per la certificazione del bilancio italiano, comunque, non è ancora definitiva, Eurostat è, infatti, in attesa di ulteriori informazioni dall'Italia (ISTAT) al fine di verificare alcune linee di bilancio per gli anni 2001-2004. Tuttavia la correzione al rialzo è di entità minima e non può preoccupare più di tanto perchè il vero problema che affligge l'intera Europa, e con essa l'Italia, è piuttosto la bassa crescita economica.

Vi è un nesso tra le politiche seguite dal governo Berlusconi e la recessione dell'economia italiana? Si può dire che la politica fiscale di Tremonti abbia responsabilità nel deterioramento del rapporto deficit/pil?

Se, come è ovvio, il denominatore di una frazione diminuisce ne consegue che il rapporto aumenta, pertanto è la mancata crescita che influisce negativamente sul rapporto deficit/pil. A Tremonti non si può imputare la responsabilità del deterioramento dei conti pubblici; anzi, egli ha avuto il difficile compito di tenere sotto controllo i conti in un periodo di congiuntura difficile, proprio quando i nostri partner europei, vedi Francia e Germania, sforavano regolarmente i vincoli di Maastricht. Certo tutto è perfettibile, e l'ex ministro dell'Economia avrebbe dovuto fin da subito agire di più sulla spesa e attivare magari qualche una tantum in meno.

E' forse stato un errore aver dato la precedenza alla riforma dell'IRE invece che a quella dell'IRAP?

Un errore? È stata una scelta democratica, una precisa risposta alle richieste dei cittadini, da troppo tempo vessati da un prelievo fiscale sui redditi personali a dir poco soffocante per il potere d'acquisto. Certo anche l'IRAP è un ostacolo per la competitività delle nostre imprese, le uniche in Europa costrette ad un esborso, giudicato dalle stesse istituzioni europee illegittimo. Il governo sta lavorando anche su questo con un primo taglio modulato in ragione della dimensione delle imprese, privilegiando quelle medio-piccole, e con un occhio particolare per quelle operanti nel Sud del Paese. Alleggerire la pressione fiscale tagliando la spesa inefficiente è una scelta imprescindibile per uno Stato che vuole essere moderno e funzionale.

Il presidente Berlusconi ha affermato che il tasso di cambio tra lira ed euro era troppo sbilanciato a favore dell'Euro, e che la lira avrebbe dovuto essere maggiormente valutata. E' così a suo avviso?

Quando la lira italiana è entrata nell'euro scontava ancora l'instabilità monetaria derivante dalle frequenti svalutazioni competitive e questa instabilità preoccupava soprattutto i Paesi come la Germania che approdavano nell'euro con una valuta forte e stabile. Se, quindi, da un lato sarebbe stato preferibile aderire alla moneta unica con una parità del tasso di cambio inferiore, dall'altro non dobbiamo dimenticare i molteplici vantaggi derivanti da una valuta forte nei mercati, sebbene sopravvalutata. L'entrata nell'euro, se pur in maniera turbolenta sul fronte dei prezzi, ha disinflazionato l'economia italiana, ha garantito stabilità di lungo periodo alle nostre imprese e ha portato notevoli benefici alla finanza pubblica con i suoi bassi tassi di interesse sul nostro pesante debito pubblico.

L'Economist ha criticato le nomine fatte dal governo Berlusconi all'Eni e all'Enel. Lei ritiene che tali critiche abbiano fondamento e che le scelte fatte non fossero funzionali ai compiti economici dei due enti?

L'Economist è un settimanale con il vezzo immancabilmente critico al quale bisognerebbe rispondere con i fatti e non con le parole. Quindi rilanciamo la privatizzazione di questi due enti e poi che sia il consiglio di amministrazione a decidere chi nominare e chi no. Comunque non l'Economist. Risulta chiaro che ci troviamo di fronte ad una crisi strutturale dell'economia italiana: può la politica del governo dare contributi specifici alla soluzione di questa crisi indotta dalle regole del commercio internazionale e da quelle della Comunità europea? In questa fase di trasformazione delle nostre economie, settate ancora troppo spesso a livello nazionale o poco più, l'unica strada percorribile è quella del libero mercato. Pertanto, bisogna proseguire, con rinnovato vigore, nel sentiero già tracciato delle privatizzazioni e liberalizzazioni, soprattutto per quanto riguarda i servizi delle municipalizzate, vale a dire la fornitura di energia elettrica o i trasporti, contribuire, in sostanza, alla messa in opera della trasformazione del Paese. La competitività delle nostre aziende leader, le quali possono vantare marchi con riconosciuta capacità di penetrazione nei mercati di tutto il mondo, sarà sufficiente, poi, a fare da traino allo sviluppo delle più numerose piccole e medie imprese nei rispettivi distretti. Più mercato con più concorrenza, quindi, ma con la necessaria e dovuta tutela garantita sia da parte delle organizzazioni internazionali come l'OMC e l'Unione Europea, ma anche da parte delle nostre istituzioni non solo a difesa della contraffazione dei marchi, ma semplificando gli eccessi di regolazione.

Tutti chiedono al governo, dalla Corte dei Conti all'OCSE, una nuova manovra fiscale in vista del DPEF 2006. Il ministro dell'Economia la esclude. Chi ha ragione?

Non c'è bisogno di nessuna manovra correttiva. Il vero problema è la mancata crescita economica che accomuna tutti i Paesi europei. Il vero malato non è l'Italia: è l'Europa. Un'Europa incapace di competere con il mercato globale, priva degli strumenti necessari per dare un deciso impulso alle politiche industriali e commerciali, incapace di dotarsi di un libero mercato dei servizi, che stenta nei processi - l'ambiziosa agenda di Lisbona è un esempio; priva, insomma, di una strategia di rilancio economico. Eppure una strategia era stata individuata proprio durante il semestre di Presidenza italiano con l'innovativa politica degli «action plan» europei.