ROMA - In piena Tangentopoli era stata considerata «la madre di tutte le inchieste» condotte dai magistrati romani. Lavori per migliaia di miliardi delle vecchie lire per costruire grandi opere nei paesi sottosviluppati affidati a ditte italiane che, secondo le «toghe», se li erano aggiudicati a suon di mazzette: l’istruttoria sulla «Cooperazione» aveva portato all’arresto di numerosi «big» e decine di indagati che ricoprivano importanti ruoli istituzionali e imprenditoriali avevano dovuto fare i conti con l’«onta» delle informazioni di garanzia per corruzione. Ieri, a nove anni dall’inizio degli accertamenti, si è concluso il processo che, per i principali imputati, non lascia spazio a dubbi sulla loro innocenza. Il primo nome della lista degli assolti «perché il fatto non sussiste» per la tranche dell’istruttoria che riguardava l’appalto da cento milioni di dollari per la realizzazione, tra l’87 ed il ’92, della metropolitana di Lima (Perù) è stato Bettino Craxi: malgrado l’accusa potesse essere dichiarata estinta per «morte del reo» (l’ex Presidente del Consiglio ed ex segretario del Psi è deceduto in Tunisia il 19 gennaio del 2000), il Tribunale della Capitale ha tenuto conto per lui dell’articolo 129 del Codice di Procedura Penale. Una norma che impone al giudice, nel caso in cui dagli «atti risulti evidente che il fatto non sussiste», di pronunciare la sentenza di assoluzione. Tra i sedici imputati usciti di scena anche il finanziere Ferdinando Mach di Palmstein, gli ambasciatori Giuseppe Santoro e Antonio Badini, il consulente Giuseppe Andrea Von Berger e Luciano Scipioni, all’epoca presidente del consorzio di imprese «Tralima». Anche per loro l’assoluzione è stata «perché il fatto non sussiste» mentre per alcune posizioni minori è stata decisa per prescrizione. I reati andavano, a seconda delle posizioni, dalla corruzione al finanziamento illecito dei partiti (di cui doveva rispondere Craxi), dal falso in bilancio alle false fatturazioni, alla truffa. Ad alcuni imputati, l’allora pm Vittorio Paraggio (ora al ministero della Giustizia) aveva contestato il versamento di due presunte tangenti, una di due milioni di dollari e l’altra di un miliardo e settecento milioni di vecchie lire. E anche la magistratura peruviana aveva avviato un’inchiesta in cui era rimasto coinvolto l’ex Presidente della Repubblica Alan Garcia. «Per la seconda volta Bettino Craxi viene assolto: in Europa e da un tribunale italiano», ha ricordato il figlio Bobo. «Questo avviene a quasi tre anni dalla sua scomparsa e ciò non può che far riflettere sull’intera vicenda politico-giudiziaria di cui Bettino Craxi giustamente si considerava una vittima. Provo un misto di soddisfazione e di amarezza - ha aggiunto Bobo Craxi, presidente del nuovo Psi - ma prevale la prima perché, dopo la riabilitazione politica, avanza a pieno titolo una riabilitazione a carattere giudiziario». Incalza l’avvocato Roberto Ruggiero, legale di Mach di Palmstein e della Fondazione Craxi: «Sono stati assolti perché non esiste il fatto storico. E allora perché questa incriminazione?», si è chiesto il difensore del finanziere. «E’ evidente che l’azione doveva servire per togliere di mezzo Craxi. Oggi - ha sostenuto Ruggiero - abbiamo la prova evidente di un’impostazione politica dell’azione giudiziaria».