Magari fosse solo Violante. L'ex presidente della Camera è solo il più convinto interprete di un teorema che da decenni inquina il dibattito politico italiano e condiziona i comportamenti di ampi settori della sinistra e della magistratura. Il teorema è storicamente noto con il nome di "doppio Stato": e descrive l'esistenza di un potere occulto, (parallelo e intrecciato con quello "ufficiale") burattinaio o complice, di volta in volta, della criminalità mafiosa o di quella terroristica. Magari fosse solo Violante: perciò il problema non è quello di trasformare il leader ds in una sorta di "capro espiatorio" ma vedere se la classe politica italiana, in specie quella di sinistra, è capace di utilizzare l'assoluzione di Giulio Andreotti per chiudere definitivamente i conti con quel maledetto teorema, magari con una commissione d'inchiesta che chiami a grandi audizioni anche i più eminenti storici del nostro paese. In altri termini: la "discussione Andreotti-Violante" è una grande occasione per uscire finalmente da una lunga era di bugie, di equivoci e persino di violenza politica.
Sarà capace la sinistra di non perdere quest'occasione? A giudicare dalle prime reazioni non si direbbe. Giulio Andreotti, che fino a ieri era "l'imputato modello" da contrapporre all' "imputato monello" Silvio Berlusconi, è ritornato velocemente nei panni di Belzebù: perché ha puntato l'indice contro una politica che egli ritiene alla base degli "errori giudiziari" che lo hanno tormentato. La sinistra esprime solidarietà a Violante: ma solidarietà per che cosa? Violante è stato forse incriminato da qualche tribunale per aver ucciso Pecorelli o aver baciato Totò Riina? Non sembra. E' stato piuttosto oggetto di una critica politica, grave quanto si vuole, ma legittima e circostanziata: quella di aver favorito, da presidente della commissione antimafia, l'applicazione di un teorema che ampiamente circolava nella sinistra politica e giudiziaria, appunto quello del "doppio Stato" del quale Andreotti era ritenuto il più callido interprete. Non era forse così? Del resto, se quello che ha subìto il senatore a vita è stato (come anche la sinistra ammette) un "errore giudiziario" ci si trova immediatamente di fronte a una domanda: qual è stata l'origine di tale errore? Si ammetterà, infatti, che un "errore" che coinvolge uno dei più famosi statisti italiani in un processo per mafia e per omicidio non è un svista giudiziaria qualsiasi, ma una vicenda dalle gravi implicazioni storiche e politiche. Ebbene è del tutto evidente che il motore primo dello "scandalo Andreotti" sta proprio nel corto circuito politico-mediatico-giudiziario che ha diffuso in Italia la teoria del "doppio Stato". Si cominciò con la campagna contro la presunta "strage di Stato" per proseguire con quella contro il cosidetto "fanfascismo" ed eleggere, infine, Andreotti al solenne ruolo di Richelieu di ogni nefandezza mafioso-stragistica (eccezion fatta per il tempo della "solidarietà nazionale) . Negare la sinistra diffusione di massa di questo teorema significa negare la storia italiana. Esso è stato talmente condiviso da una certa fascia di opinione pubblica che, ancora oggi, commentatori come Eugenio Scalfari e Francesco Merlo dichiarano di esser contenti dell'assoluzione di Andreotti perché così possono tornare liberamente a sostenere che si trattava di Belzebù!
La magistratura che ha perseguito (perseguitato) Andreotti ha cercato di dimostrare questo teorema oltre ogni ragionevole prova, e una parte della sinistra ha sostenuto questa sua testarda determinazione svolgendo un ruolo di "mediazione" e di "sponda" tra tribunali, parlamento e media. L'onorevole Violante per storia, formazione e convinzione si è trovato al "centro" di questa mediazione. Ha svolto, insomma, un ruolo di leadership politica di tale teorema (che ha significato anche calmierare le spinte più estreme). Anche qui: negarlo significa negare la stessa storia politica di Luciano Violante. Ebbene, perché allora non riconoscerlo e, come detto, utilizzare "l'occasione" dell'assoluzione di Andreotti per chiudere definitivamente i conti con il passato? Per un semplice motivo: perché esso non è passato: lo stesso teorema, infatti, é stato alla base di Tangentopoli ed è tuttora operativo contro Berlusconi.
La storia non si può cancellare. 1) Senza l'avviso di garanzia ad Andreotti le elezioni del 1994 avrebbero potuto andare diversamente per l'ex Dc. Anche se c'è da ricordare che i democristiani non se ne resero conto, aiutando in qualche misura con la loro remissività (o peggio) l'azione giudiziaria. Ma non c'era più Moro. 2) I magistrati sfruttarono il clima di indignazione popolare contro la corruzione non soltanto per perseguire singoli reati individuali ma per mettere sotto processo, come ha ricordato Marcello Pera, cinquant'anni di democrazia italiana e i partiti che l'avevano guidata. 3) La teoria del "doppio Stato" é rivolta oggi contro la nuova maggioranza: ancora una volta vista come strumento di una "banda privata" con contiguità mafiose, ostile alle procedure della democrazia e dedita soltanto ai propri "interessi personali". Ecco perché la sinistra non può accettare l'apertura di una simile discussione (figuriamoci poi in una commissione d'inchiesta!). Il nome di Violante è diventato, insomma, la metafora di una svolta politico-culturale: riscrivere la storia degli ultimi dieci anni e ammettere che il problema di oggi non è quello di difendere l'indipendenza della magistratura, quanto piuttosto quello di ristabilire l'indipendenza della politica; anche quella di Silvio Berlusconi di fronte ai nuovi teoremi del circuito politico-giudiziario. La sinistra si trova dunque in un inquietante cul de sac. O rigetta il teorema Andreotti rileggendo la recente storia politica del Paese, e riconoscendo finalmente legittimità politica anche a Berlusconi, oppure resta aggrappata alla teoria del "doppio Stato" dando nuova linfa alle correnti massimaliste e giustizialiste. Davvero un bel dilemma: del quale però non può in alcun modo rimanere prigioniero il Paese che, a partire dall'assoluzione di Andreotti, sente invece il bisogno di ricostruire la dignità della sua storia politica.