Mi arriva sul mail una richiesta per diffondere un appello di professori di storia contro il disegno di legge n. 224 presentato dai parlamentari di AN sullo “status” di militari combattenti ai seguaci della Repubblica Sociale Italiana. Non diffonderò l’appello. Di seguito uno stralcio del documento e quindi i motivi e le ragioni per le quali non intendo diffonderlo.
Qui non si tratta, come é giusto, di rispettare i caduti di ogni colore, ma di difendere i valori della Resistenza e della lotta di Liberazione e i principi fondanti della Repubblica e della Costituzione contro una maggioranza che vuole sradicare le basi stessi della nostra convivenza civile e della nostra identità democratica.
E quali sono i valori della resistenza e della lotta di liberazione se non quelli della libertà, della eguaglianza, degli eguali diritti e del rispetto di una democrazia basata su maggioranza e minoranza e alternativa?
Non credo che sia da diffondere, almeno da parte mia, l’appello degli storici che trovo inutilmente settario dopo mezzo secolo di storia democratica e libera. Chi lo vuole diffondere però deve farlo. Dopo l’8 settembre del ‘43 l’Italia venne divisa. A parte le responsabilità di Mussolini e dei gerarchi fascisti e quelle della casa regnante debole e imbelle, chi non aveva responsabilità di governo o comando venne lasciato con la sua coscienza. Per alcuni la coscienza indicò la via di obbedienza all’armistizio unilaterale di Badoglio e del passaggio agli “alleati” e alla resistenza contro i tedeschi e i fascisti per altri la coscienza indicò l’obbedienza alla Repubblica di Salò come logica erede del regno al quale avevano giurato lealtà. Non me la sento di giudicare una coscienza migliore o peggiore dell’altra. Chi nell’Esercito e nella Marina Italiana decise per l’una o l’altra cosa decise onestamente e secondo le informazioni che aveva e il senso morale che sentiva: l’onore, la coerenza, la fedeltà a quella che sembrava essere la continuità dei valori nei quali era stato educato e dei quali era imbevuto, da una parte, la visione di una nuova era democratica e libera dall’altra. Tutti avevano giurato fedeltà e lealtà alla stessa bandiera e allo stesso re: l’interpretazione di quale fosse il versante del loro impegno di lealtà era, obbiettivamente, soggettiva. Non sta a noi oggi giudicare chi avesse ragione e chi torto allora. Noi oggi abbiamo informazioni che loro non avevano. Scelleratezze e indegnità vennero commesse dalle due parti: massacri, linciaggi, vendette personali e quanto di più orrendo. Ci sono volumi che elencano e registrano ogni sorta di indecenza dei “resistenti” e dei “repubblichini”, ma questo non autorizza a qualificare gli onesti delle due parti alla stregua degli assassini, infoibatori, massacratori delle due parti. Ad ognuno le sue responsabilità: caso per caso, morto per morto. Sono contento che non abbiano vinto i seguaci di Salò, e sono contento che l’arrivo degli Americani abbia drasticamente moderato il segno politico della vitttoria del CLN, ma la visione dopo 60 anni deve superare la specificità di allora. La legge presentata al Parlamento da AN rende giustizia agli onesti che sicuramente c’erano anche dalla parte della Repubblica di Salò e che non devono patire, nella memoria, per le efferatezze dei loro capi o dei loro compagni assassini.
La trovo civile ed è tempo che una iniziativa di questo genere venga presa: è opportuno non travisarne il significato. La fraseologia roboante di Tranfaglia et al. è reazionaria e “vecchia”, non è la vera sinistra, ma la sinistra di maniera e conforme a un modello di schieramento manicheo che ha fatto il suo tempo e del quale si sente la stanchezza rituale. Chi scelse nel ‘43 non sapeva di Auschwitz, l’”ordine fascista” era “l’ordine”, nella “resistenza” leggeva gli orrori di Stalin e di Tito e del comunismo sanguinoso dei gulag e del massacro dei mugiki e non i “valori” che adesso appaiono così facilmente chiari a Tranfaglia. Non lo erano allora.
Risento inoltre nell’appello di Tranfaglia la stessa bigotteria e servilismo ideologico per il quale il mio zio Federico Tamburini capitano sul sommergibile Guglielmotti, affondato da una bomba di profondità inglese prima dell’8 settembre, non ebbe, per molti anni, il nome scritto sulla lapide che ricorda tutti i caduti dell’Accademia Navale di Livorno.
Questa “sinistra” rituale e stanca, senza un attuale “motore” ideologico o visione o progetto, si agguanta a una polemica che dopo 60 anni ha il diritto di essere chiusa con civiltà e senza settarismo. L’emblema, tragico, è Bertinotti che di fronte alla appassionata domanda di sogno, di utopia e di visione non trova di meglio che allearsi con Prodi, Dipietro e Mastella.
Non diffonderò l’appello, e spero che si apprezzino i motivi e le ragioni della posizione senza lo schematismo di maniera che vede accusati di “fascismo” tutti coloro che rifiutano il diagramma “o con noi o contro di noi”.
Ecco invece il commento di Giuseppe Falzone nella sua splendida primavera del 1945.e il suo pensiero di 60 anni fa:
......Se meriti vi furono nella Resistenza, essi furono di tutti: degli Italiani caduti un po' dovunque perche' chiamati; degli Italiani caduti per libera scelta; degli Alleati che difesero in Europa la liberta' che era loro, ma anche di tutti; dei nostri soldati che vollero formare nel Sud il Corpo Italiano di Liberazione; infine di quegli Italiani che smarriti nella mente e nel cuore sommarono la propria vita e le loro sofferenze ed anche le sofferenze inflitte ad altri, in quel grande, unico ed inutile massacro nel quale l'Italia ritrovo` quanto era importante per tutti la liberta' di ognuno.........