L'estate
politica italiana è caratterizzata dallo scandalo
Telekom-Serbia. Al comportamento corretto e garantista del presidente della
Commissione d'inchiesta, onorevole Trantino, si contrappone quello scomposto e
isterico dei politici tirati in ballo dal superteste Igor Marini.
Strano paese il nostro. Il comportamento dei politici mi fa venire in mente un racconto di Guareschi, quello nel quale dimostrava che l'Italia possiede due nord e due sud. Quando ci si sposta da Milano verso sud, questo si trova sempre più in basso e viceversa quando si torna dalla Sicilia verso il nord, il nord è sempre poco più su. La stessa cosa sta accadendo ora in Italia e la ragione del contendere non è una questione geografica, ma di credibilità. Quando si accusa Berlusconi, la persona diventa un teste attendibile, non interessa sapere se era sotto inchiesta da parte della guardia di finanza. È credibile e basta. Quando invece qualcuno osa denunciare le malefatte dei "sinistri", più o meno "centrali", l'accusatore si trasforma immediatamente in "faccendiere", vale a dire, secondo il Palazzi, in colui "che s'impiccia in molte faccende per trarne, più o meno chiaramente, profitto; intrigante", ma anche "almanaccone, affannone, affaccendato, factotum, armeggione". Insomma: non è accusa grave, ma nemmeno un complimento. Lo si usa col proposito d'offendere per indebolirne la credibilità di testimone contro Prodi, contro Fassino e Dini, pardon, contro Mortadella, Cicogna e Ranocchio. Quando si accusa Mortadella, scatta il garantismo, quando il garantismo è invocato da Berlusconi, la richiesta è accolta come una sfacciataggine.
Al tempo stesso, quando l'accusato è Berlusconi, il paese, la partre sinistra, entra in fibrillazione. Nascono i Comitati, i girotondi, le proteste nei tribunali e al parlamento europeo. Quando invece l'accusato è un sinistro, scatta la tesi del garantismo, della persecuzione politica, dell'uso illecito delle commissioni. Si crea un falso obbiettivo, si cerca di distruggere la credibilità dell'accusatore per nascondere il vero scandalo. Il problema non è quello delle tangenti, o meglio, non è solo quello delle tangenti, ma è, soprattutto, quello dello sperpero di denaro pubblico che il governo guidato da Mortadella, con il Ranocchio al ministero degli esteri e la Cicogna come sottosegretairo, ha dilapidato in una operazione che persino agli occhi di un bambino appena in grado di ragionare sarebbe apparsa sbagliata. La vera domanda è la seguente: È stata acquistata un'azienda, Telekom Serbia, in perdita, al doppio del prezzo, in una nazione che si avviava a fare una guerra, con un rischio-Paese altissimo e per una società che aveva un patrimonio cash in una valuta, il dinaro, non convertibile. Insomma, visto che si tratta di un'operazione fatta da un'azienda, Telecom Italia, che all'epoca dei fatti era in mano pubblica, restano tre domande da fare, vale a dire, Perchè, Perchè, Perchè? Perché decisero quell'acquisto. Una sola cosa è certa: ci fu uno spaventoso sperpero di denaro, circa 7-800 miliardi di lire. Uno spreco che era assolutamente prevedibile prima che si avviasse l'intero affaire. Allora, con tutto il rispetto, vorremmo sapere dal presidente del Consiglio, dal ministro degli Esteri e dal sottosegretario agli Esteri dell'epoca perché diedero l'avallo politico all'acquisizione della società di Milosevic.
Non abbiamo sentito Romano Prodi dire le cose che va dicendo ora sul garantismo, quando si indagava su Silvio Berlusconi. Non gli abbiamo mai sentito dire una parola a favore del garantismo. Piuttosto il presidente della Commissione europea dovrebbe dare delle risposte. Non si può essere garantisti solo quando si è sotto accusa. Quando si indaga sugli altri, o addirittura sugli avversari politici, allora si diventa colpevolisti. Ieri i girotondi, oggi la sinistra cambia atteggiamento? È la loro solita incoerenza. Per quale motivo dobbiamo considerare Igor Marini colpevole e Mortadella innocente.
Sul fatto che nell’affare Telekom Serbia siano corse tangenti a favore di uomini politici italiani in cambio del loro consenso all’accordo stesso è lecito avere ancora tutti i dubbi di questo mondo. Ed è sicuro che per fugarli servono testimoni ben più attendibili di quanto lo sia Igor Marini o, tanto più, Giovanni Di Stefano. Ma se il capitolo delle specifiche responsabilità penali appare ancora interamente da scrivere (anzi è ancora in forse se per esso possa esserci davvero posto), è fin da ora certo, invece, che le responsabilità politiche non mancano, e tutte meritevoli di indagine a causa dei risvolti importanti che esse implicano o possono eventualmente implicare (a cominciare naturalmente dalle tangenti di cui sopra). Dunque già fin d’ora si può dire che ha fatto bene la maggioranza di centrodestra a volere a suo tempo la commissione parlamentare di inchiesta anche se, a nostro avviso, le sue indagini avrebbero fatto meglio ad assumere subito un taglio ben più schiettamente politico-istituzionale di quanto è viceversa accaduto. È in questo ambito, infatti, come si diceva, che si addensano gli interrogativi di fondo e di maggior momento. L’aspetto politico dell’affare Telekom nasce dal fatto che allorché nel 1997 la Stet, padrona di Telecom Italia, acquistò dal governo jugoslavo di Milosevic il 29 per cento di Telekom Serbia per 887 miliardi di vecchie lire (cifra destinata a decurtarsi di oltre il 50 per cento quando cinque anni dopo la partecipazione fu rivenduta al nuovo governo di Belgrado, e anche questo è un particolare non trascurabile), quando ciò avvenne la Stet era di proprietà pubblica. La domanda che nasce naturale è allora la seguente: è mai pensabile che un’azienda pubblica italiana potesse condurre in porto un simile acquisto, per una cifra così considerevole e soprattutto da un venditore di così dubbia reputazione come Milosevic, signore della guerra dei Balcani, senza una preliminare autorizzazione politica dal governo di centrosinistra dell’epoca? È pensabile una cosa del genere, sapendo oltretutto che il nostro ambasciatore a Belgrado mandò la bellezza di quattordici dispacci al ministero degli Esteri sottolineando tutti i lati oscuri dell’affare? Eppure è a una tale cosa che l’opinione pubblica italiana dovrebbe credere stando almeno a ciò che hanno sempre sostenuto i titolari di tutte le cariche, politiche e non, implicati nella faccenda: dai vertici della Stet ai più alti funzionari dei dicasteri interessati, da ministri e sottosegretari del governo allo stesso presidente del Consiglio dell’epoca. Secondo la versione dei quali, per l’appunto, la Stet, i cui vertici (guarda caso) erano stati cambiati da poche settimane, avrebbe in pratica regalato alcune centinaia di miliardi a un personaggio come Milosevic, in una situazione come quella della ex Jugoslavia alla fine degli anni ’90, senza che nessuno di essi non solo avesse autorizzato nulla, ma in sostanza neppure sapesse nulla. Ma se si appurasse che le cose stavano effettivamente così, ciò sarebbe forse di una gravità politica per lo meno pari, se non maggiore, di quella rappresentata dalla consapevole decisione presa da qualcuno di aiutare (magari in cambio di una tangente) il regime criminale di Milosevic. I piani alti della politica dell’epoca, insomma, ospitavano degli inetti o una quinta colonna balcanica? È questa la domanda, per nulla irrilevante, a cui la Commissione parlamentare deve innanzitutto aiutarci a rispondere: facendo attenzione a non ferire per leggerezza l’onorabilità di nessuno, come è suo dovere, ma pure, come è suo diritto, senza guardare in faccia a nessuno.
Corriere della Sera del 30 agosto 2003