Greggio e pericoloso

Lorenzo Matteoli*

Il futuro

La curiosita' sul futuro, o il desiderio di certezze, sono stati nella storia dell'uomo una costante drammatica. Sulla curiosita' si sono costruite le fortune millenarie di tutte le religioni e sulla impossibilita' di soddisfarla si e' costruito il potere finanziario delle Societa' di Assicurazione. Il futuro e' lo svolgimento del presente: il piu' banale, il piu' logico, il piu' semplice. Ma la complessita' del presente e' tale per cui il suo svolgimento e' sempre imperscrutabile. La banalita' e la semplicita' si riconoscono solo guardando indietro. Il presente e' il banale, semplice svolgimento del passato: cosi' banale da sorprenderci sempre. Nel marasma congiunturale ogni tanto appaiono degli squarci che danno la sensazione ingannevole di rivelare qualcosa: una momentanea finestra sullo svolgimento del presente che immancabilmente si chiude appena tentiamo di approfondire e documentare. In questo esercizio cerchero' di analizzare uno squarcio rivelatore molto attuale: quello fornito dalla proiezione nel futuro di breve medio termine della disponibilita' di petrolio. I dati disponibili, gli elementi della loro incertezza, le assunzioni ipotetiche e i possibili significati geo-politici e sulla vita quotidiana. E' bene avvertire fin d'ora che il mio esercizio non fornira' certezze e non risolvera' la curiosita' storica sul futuro: forse suggerira' qualche linea di comportamento per una gestione meno accidentale della congiuntura e per una sua comprensione meno superficiale. Nelle conclusioni cerchero' anche di suggerire quali sono i collegamenti di questo esercizio con la quotidianita' e con il campo specifico del "diritto".

Il dato

Gli archivi Ginevrini della Petroconsultants insieme a quelli della BP Amoco costituiscono la fonte piu' autorevole e completa per quanto concerne i giacimenti di petrolio in tutto il mondo, riserve, capacita' presunte, barili di greggio estratti ad oggi, capacita' estrattiva degli impianti di pompaggio, tipi di greggio, costi di estrazione, tipologia e profondita' dei pozzi etc. etc.

Colin J. Campbell e Jean Laherrere sono due geologi che hanno lavorato per 40 anni in tutto il mondo con molte compagnie e che si sono specializzati nella valutazione delle capacita' dei giacimenti e delle riserve "ultime" di greggio nel mondo.

King Hubbert e' stato un geologo/matematico che fin dal 1947 ha modellato su una curva logistica Gaussiana la relazione tra capacita' complessiva di un sistema di giacimenti, i volumi correntemente estratti e l'andamento dei ritrovamenti di nuovi giacimenti.

La modellazione di Hubbert applicata ai dati di Petroconsultants e BP Amoco con le valutazioni di Campbell e Laherrere da' una indicazione abbastanza precisa: la produzione di greggio arrivera' al suo massimo tra il 2008 e il 2010 e quindi calera' in ragione del 3% all'anno fino al totale esaurimento della risorsa nell'arco dei successivi 25-30 anni. Il costo di estrazione del greggio verso la fine della capacita' dei giacimenti aumentera' sensibilmente. Il picco di produzione e' gia' stato raggiunto dagli Stati Uniti, dal Messico dal Venezuela dalla Norvegia e dal Regno Unito, a partire dal 2004/2005 gli Stati del Golfo Persico controlleranno piu' del 50% della produzione di greggio nel mondo e quindi anche per quel bacino iniziera' il calo del 3% all'anno. La IEA (International Energy Agency) nel 1997, sulla base delle indicazioni di Campbell e Laherrere, ha modificato le sue ipotesi di previsione e, in modo riservato e implicito, riconosce la validita' del modello di Hubbert, Campbell e Laherrere ma non si pronuncia sull'intorno temporale del picco di produzione. La posizione delle grandi compagnie petrolifere e' espressa molto bene dal presidente dell'ENI Bernabe' che in una intervista a Forbes (luglio 1998) nota nel mondo, ma poco conosciuta in Italia forse perche' rilasciata in inglese dice: "divertitevi fin che ce ne e'".

Per la lista di 200 compagnie petrolifere che non appartengono al Governo di un Paese produttore, dice Bernabe', le nuove riserve non tengono il passo con l'incremento di produzione. " Dal 1980 al 1997, il rapporto riserve/produzione e' sceso da 18 a 12 anni." Bernabe' pensa che questa cifra continuera' a diminuire. "[Queste 200 compagnie] solo per mantenere costante il rapporto riserve/produzione al ritmo dell'incremento annuo del 2.5% dovrebbero rimpiazzare il 140% delle riserve nell'arco dei prossimi 5 anni. Semplicemente impossibile!" Il volume totale del nuovo petrolio scoperto nel mondo e' passato da 41 miliardi di barili nel 1962 a 6 miliardi di barili nel 1997, dice Bernabe'. Il picco delle nuove scoperte fu nel 1960: da allora sono stati trovati solo mezza dozzina di grandi bacini. ää. La mia previsione e' che il picco di produzione mondiale dei bacini attualmente conosciuti verra' raggiunto fra il 2000 e il 2005, dopodiche' la produzione comincera' a diminuire." E la domanda continuera' ad aumentare, lentamente, ma inesorabilmente. Questo significa che il petrolio restera' a basso prezzo fino dopo l'inizio del nuovo millennio e che solo dopo iniziera' a crescere? "Non necessariamente. Quando i mercati si renderanno conto che la offerta scende e che la domanda continua a salire i prezzi potrebbero salire anticipando lo scompenso tra domanda e offerta."

Questa intervista non ha ricevuto smentite da altri rappresentanti dl settore petrolifero, Bernabe' e' un soggetto responsabile e l'ENI una fonte credibile sul tema specifico. L'intervista era del 1998 e gli avvenimenti fino ad oggi non hanno smentito la previsione. Cosa succedera' quando i "mercati" prenderanno coscienza del dato di fatto e' evidente e ne abbiamo avuto un "anticipo" nel marzo 2000 quando a fronte di un calo della produzione del 6% il costo del greggio sui mercati mondiali e' triplicato (+300%). La definizione del problema e' chiara nella presentazione di Campbell alla House of Commons del 7 Luglio 1999 dalla quale riporto il passo conclusivo:

Verso il 2008, quando la quota di compensazione (Swing Share) dei Paesi del Golfo Persico avra' raggiunto il 50% e anche quei giacimenti avranno raggiunto il picco di produzione, iniziera' il calo produttivo inevitabile e costante del 3% all'anno. La carenza di combustibile mettera' in crisi trasporti e agricoltura. Il mercato "globale" finira' per i costi di trasporto insostenibili. ä Questo e' uno scenario, ci sono alternative, ma i limiti di manovra sono stretti a causa della scarsa disponibilita' di risorse che e' un fatto e non uno scenario. Se per un qualche miracolo potessimo aggiungere 500Gb di riserve (piu' della meta' di tutto il greggio estratto fino ad oggi) il picco e l'inizio del calo di produzione sarebbero ritardati solo di dieci anni.

La presentazione di Colin J. Campbell al Parlamento inglese si conclude con la raccomandazione di istruire quanto prima una responsabilita' di governo per impostare la gestione della fine dell'Oil Interval, e per progettare le strategie della transizione. 

Nota sul rinvio del "picco" per effetto di nuovi ritrovamenti

Mentre scrivo questo articolo leggo sui giornali di nuovi ritrovamenti di petrolio nel Mar Caspio (Kashgan, Kazakhstan): si parla di 80 Gb. Sarebbe il ritrovamento piu' vasto degli ultimi venti anni, anche se le stime sono ancora incerte. Gli effetti di questo ritrovamento sul picco di produzione calcolato secondo il modello di Albert Bartlett (Dpt. Of Physics, University of Colorado) pubblicato da "Mathematical Geology" vol. 32, Gennaio 2000, pag. 1-17 sarebbero di un rinvio di 6 mesi. Secondo Brian Fleay (cfr bibliografia) il rinvio sarebbe di 18 mesi. Non e' possibile confrontare i due calcoli perche' mancano le ipotesi iniziali sulle stime della capacita' assunte dai due ricercatori. Riporto di seguito un intervento del 18 di Maggio di Rich Duncan sulla lista Energy Resources 2000, che fornisce un quadro abbastanza chiaro sulla relazione tra nuovi ritrovamenti di petrolio e rinvio del picco di produzione.

Richard Duncan e Walter Youngquist (cfr bibl.) hanno svolto uno studio sulla dimensione di nuovi ritrovamenti nel prossimo decennio necessaria per posticipare la data del picco produttivo di petrolio a basso costo. Si tratta di una quantita' enorme - 150 Gb (un Gb = un miliardo di barili, un barile = 166 litri) per rinviare il picco dal 2006 al 2007, 300 Gb se vogliamo arrivare al 2008, 350 Gb per agguantare il 2009, ma solo 375 Gb per il rinvio fino al 2022. La relazione si scosta molto dalla linearita'. Purtroppo le nuove scoperte devono diventare disponibili al consumo nel 1998 - otto anni prima del 2006. Tutto quello che arriva dopo, indipendentemente dalle dimensioni, arriva tardi. Nel valutare questi numeri e' bene ricordare che i ritrovamenti di nuovi giacimenti negli anni 90 non hanno mai superato i 6 Gb all'anno.

La nostra analisi World Oil Forecast # 3 (che uscira' in K.Watt 2000) sulla efficacia delle nuove scoperte agli effetti del rinvio del picco di produzione si basa su una serie di simulazioni (fatte con System Dynamics) all'inizio del 1998. Nel modello il picco produttivo era ipotizzato all'anno 2006. Abbiamo fatto due prove. Nella prova #1 la nuova produzione era disponibile nel Gennaio del 1998 (cioe' 8 anni prima del picco). Nella prova #2 la nuova produzione era disponibile nel Gennaio del 2015 (cioe' 8 anni dopo il picco) 

Risultati della prova #1: 148.4 GB di nuovi ritrovamenti in linea operativa dal gennaio 1998 (8 anni prima del picco) rinviano il picco di produzione di un anno (dal 2006 al 2007). 296.8 GB di nuovi ritrovamenti in linea operativa dal gennaio 1998) rinviano il picco di produzione fino al 2008. Ci vogliono 347.7 Gb di nuove scoperte per arrivare fino al 2009 (rinvio di tre anni). La sorpresa viene con il quarto giro di dati sulla Prova #1: ci vogliono 373.1 Gb di nuovi ritrovamenti per ritardare il picco di 16 anni (cioe' dal 2006 al 2022). Una funzione assolutamente non lineare!

Risultati della prova #2: le stesse quantita' di petrolio portate in linea operativa nel gennaio 2015 (cioe' 8 anni dopo il picco) non hanno alcuna efficacia. L'effetto si limita a una riduzione del declino produttivo.

La nostra World Oil Forecast #3 quindi porta alle seguenti conclusioni:

D. Conclusione delle prove sul rinvio del picco di produzione

La domanda era: "E' possibile rinviare il picco di produzione del petrolio?" la nostra risposta e' "Si, nuove riserve di petrolio portate in linea operativa molto prima del 2006, anno del picco ipotizzato, possono rinviarlo, ma solo di alcuni giorni per ogni Gb di nuove scoperte. Tutto quello che si trova dopo non serve. Anche se non siamo in grado di prevedere con precisione l'anno di picco possiamo essere certi che non si tratta di una scadenza dotata di molta mobilita'. In effetti il picco mondiale di produzione e' attualmente fissato dai trends produttivi dei 42 paesi produttori inclusi in questo studio (i.e. Tabella 68.1). (ed. K. Watt, 2000) 

Finale: se il picco produttivo mondiale avviene prima del 2010 (attuale prevsione senza il ritrovamento del Mar Caspio) ci sono poche possibilita' che nuovi ritrovamenti anche di 300 Gb (cioe' quasi quanto la Riserva Stimata Ultima dell'Arabia Saudita) possano rinviare il picco nemmeno di un anno. Al meglio questi ipotetici enormi nuovi ritrovamenti rallenteranno il declino. Troppo poco, troppo tardi. Riteniamo che siano necessari metodi di simulazione sofisticati per rappresentare in modo corretto la dinamica del picco produttivo e dei possibili rinvii. La semplice matematica non puo' catturare la complessita' del problema.

Molti buoni auguri!
Rich Duncan

La contestazione del dato

Il modello di Campbell e Laherrere impostato sulle gaussiane di Hubbert viene contestato da Michael Lynch, economista del petrolio e docente al Massachusetts Institute of Technology: e' vero che la corrispondenza della campana di Hubbert con gli andamenti della produzione di greggio negli Stati Uniti dal 1930 al 1970 e' perfetta, ma la estensione del modello al sistema mondiale dei giacimenti, data la relativa carenza di dati affidabili a livello mondiale, non e' accettabile. Nel 1973 quando ci fu la prima crisi petrolifera la previsione del costo al barile fu che in breve tempo avrebbe raggiunto i 100$ (si fermo' a 27$ per poi scendere con alterne vicende fino agli 11$ dell'inizio del 1999): le riserve stimate allora erano di 700 miliardi di barili. Oggi le riserve stimate sono superiori nonostante dal '73 al 2000 sia siano gia' bruciati 600 miliardi di barili. Piu' che le curve logistiche e i modelli teorici conta il dato empirico, dice Lynch, che, sulla base del dato empirico ha previsto la caduta dei costi del greggio negli anni 1997/1999. 

Gli elementi fondamentali della campana di Hubbert sono la produzione/domanda corrente e il volume dei nuovi ritrovamenti. Mentre la produzione segue con relativa approssimazione la crescita prevista dal modello, i nuovi ritrovamenti, sempre piu' rari, sono accidentali. Il massimo nella curva dei ritrovamenti determina l'altezza e la collocazione del picco di produzione della campana di Hubbert ed e' difficile da localizzare data l'accidentalita' con la quale nuovi bacini petroliferi vengono scoperti. La scoperta di nuovi bacini e' determinata dagli investimenti e questi sono una funzione del prezzo di mercato del greggio, cosi' come i consumi. La interferenza di fattori politici, economici e tecnici su consumi, domanda, offerta, prospezione e scoperta di nuovi bacini, costituisce il punto debole della assunzione a valore esatto della curva logistica di Hubbert che, mentre descrive bene fenomeni "naturali" (i.e. crescita e declino di colture biologiche), e' meno adatta alla rappresentazione di fenomeni "artificiali". La dinamica mondiale del petrolio (domanda, offerta, consumo, scoperte) diventa un fenomeno "naturale" sul lungo termine (200-300 anni) ma nell'arco dei 20/30 anni e' molto disturbata dalla congiuntura politica, economica e tecnologica. La campana tracciata sulla base di dati parziali e' quindi da valutare con riserva: rappresenta bene un fenomeno in avanzato stato di completamento, ma prevede con scarsa precisione il percorso finale di un fenomeno allo stato intermedio. Un altro argomento corrente della linea "ottimista" e' quello delle tecnologie estrattive che consentono lo sfruttamento piu' radicale dei giacimenti (trivellazione orizzontale, pompaggio di vapore ad alta temperatura, coltura di giacimenti in acque profonde etc.). Si tratta di un buon argomento, nel senso che volumi di greggio inaccessibili, o che non potevano essere estratti se non a costi molto elevati sono oggi accessibili o possono essere estratti a costi piu' competitivi. Le tecnologie di trivellazione e di coltura dei giacimenti non possono pero' modificarne la capacita' ultima e la rivalutazione di capacita' di un giacimento deve essere "retrodatata"all'inizio del suo sfruttamento per consentire una previsione corretta della sua capacita' "ultima". Vi e' una terza linea di contestazione della tesi Hubbertiana di "fine dell'Oil Interval": da Malthus in poi (passando per Meadows & Meadows et al. del Club di Roma con il classico Limits to growth) si continuano a fare previsioni di fine delle risorse che regolarmente non si verificano. Le stesse previsioni di fine dell'Oil Interval vengono continuamente aggiornate da vent'anni a questa parte, rinviando la data fatidica man mano che questa si avvicina. Si tratta di una tendenza classica (millenarismo) recentemente verificatasi anche con il ridicolo episodio dell'Y2K Bug: l'uomo prevede sempre la sua fine perche' intimamente sa che prima o poi questa fine ci sara'. E' pero' opportuno essere prudenti nel ridicolizzare gli errori di Malthus, Hubbert, Meadows, Peccei et al.: ogni previsione ha la stessa imprecisione degli strumenti conoscitivi sui quali si basa. A questo proposito e' bene tenere presente che la strumentazione per la prospezione geologica disponibile oggi e' molto piu' sofisticata di quella di ventanni fa: la mappatura geologica sismica tridimensionale ad elevata risoluzione fornisce dati molto piu' esatti rispetto a quelli disponibili a King Hubbert e la conoscenza attuale della dinamica di formazione geologica dei grandi giacimenti di idrocarburi consente di individuare in modo piu' esatto le aree geografiche dei probabili bacini riducendo notevolmente la potenzialita' di ricerche fuori dalle zone ad elevata probabilita' geologica.

Malthus (1766-1834) sbaglio' perche non poteva prevedere la conseguenze della scoperta del petrolio del "Colonnello" Edwin L. Drake (Titusville, Pennsylvania 27.8.1859) e l'inizio dell'Oil Interval: ma aveva ragione e lo sviluppo demografico/industriale/agricolo infinito in un sistema fisico finito sta oggi mettendo in crisi il pianeta. Meadows & Meadows hanno sbagliato di qualche anno: giusto la difficolta' della valutazione della campana di Hubbert con i dati incerti degli anni 60 e 70. I limiti allo sviluppo del Club di Roma si leggono oggi chiaramente nelle situazioni marginali delle grandi aree metropolitane e in Africa. Il fatto di avere sbagliato nel passato, ammesso e non concesso che sia vero, e' un argomento molto debole per sostenere che si sbagliera' sempre, allo stesso modo, nel futuro.

Gli elementi di disturbo

Il comportamento degli stati produttori potrebbe essere oggetto di curiosita': per quale ragione non si compattano in un cartello rigoroso anticipando la riduzione delle quote di estrazione e promuovendo un incremento per fattori del prezzo del greggio (3, 4, 10 volte) che compenserebbe abbondantemente il ridotto volume di vendita? La regola di Paul Krugmann che non estrarre il greggio e' una forma di investimento strategico di lungo termine, renderebbe credibile questo comportamento: ma i mercati finanziari recenti negli Stati Uniti hanno sconvolto il quadro. Negli ultimi 4 anni il denaro negli Stati Uniti ha reso intorno al 20-24% e quindi quattro anni fa vendere a 10$ al barile il petrolio era come venderlo a 25$ dopo 4 anni oppure a 738 dollari dopo 20 anni! Giusta quindi la decisione degli Sceicchi di vendere subito, affogando il mercato nel petrolio, e investire lucrativamente. Questa e' una prima risposta alla ragionevole domanda. Un'altra e piu' banale risposta e' che gli stessi Paesi produttori non sono sicuri dell'esatto ammontare delle loro riserve e non possono escludere che un aumento eccessivo del prezzo potrebbe aumentare/accelerare la probabilita' di vasti ritrovamenti in aree geografiche fuori dal loro controllo (Mar Caspio, Golfo del Messico, Oceani Polari Artico e Antartico). Alcuni paesi produttori sono inoltre strettamente legati alle economie occidentali (USA ed Europa) da investimenti e interessi di capitale incrociato: un turbamento di quei mercati provocherebbe danni seri alle loro stesse economie. Per altri paesi (Costa d'Avorio, Nigeria, Iraq, Iran, Messico, Venezuela) il greggio rappresenta l'unica risorsa: per questi paesi non e' tollerabile nemmeno l'ipotesi di una reazione dei mercati consumatori simile a quella del 1973 e del 1983 (forte riduzione mediante conservazione energetica a breve termine e alternative energetiche a medio lungo termine). Questo vincolo e' ulteriormente confermato dalle ineludibili scadenze del loro debito internazionale. In questo dilemma si inquadra il gioco delle previsioni delle capacita' dei giacimenti e delle riserve geologiche che sono tutte "strumentali": i paesi arabi non vogliono indurre preoccupazione che potrebbe innescare strategie di conservazione energetica e promuovere investimenti nella prospezione di nuovi bacini e tendono a gonfiare le cifre delle riserve previste. I paesi consumatori (sostanzialmente gli Stati Uniti) non vogliono lasciare ai produttori la leva contrattuale e negoziale che potrebbero avere dichiarando riserve basse e marginali e quindi gonfiano le previsioni delle riserve disponibili nel resto del mondo (cfr ultimo rapporto di Thomas Ahlbrandt dell'USGS dove vengono valutati in modo eccessivamente positivo le sabbie e gli scisti petroliferi notoriamente trattabili solo a elevatissimi costi energetici). Tutti, quindi, per motivi diversi, spingono le previsioni verso l'alto con un atteggiamento apparentemente irrazionale. La posizione Americana sembra congelata: nessuno vuole smuovere le acque in un momento quasi incredibile dei mercati azionari che sono in rialzo continuo da piu' di 4 anni e hanno raggiunto valori imbarazzanti per lo stesso Greenspan. La battuta sussurrata e': "We will build that bridge when we come to that river". Le grandi compagnie si stanno attrezzando per la prossima campagna di perforazioni con immensi "Rigs" oceanici che fanno costruire in cantieri cinesi: appena il prezzo del greggio sale le ricerche di giacimenti costosi da coltivare (Mar Caspio, Golfo del Messico, Fossa di Timor, Mari Artici e Antartici) saranno premianti. Nessuno si e' mosso per tutto il tempo nel quale il greggio e' rimasto a 10 dollari al barile, 30 dollari hanno messo in preallarme gli operatori, a 40 dollari scatteranno le grandi manovre per la ricerca dell'ultimo "schizzo nero". Si perforera' per cercare greggio che sara' probabilmente venduto a 100, e forse di piu', dollari al barile fra 10 anni. Ma se i mercati finanziari resteranno lucrativi anche con il petrolio a 30$ al barile gli Sceicchi continueranno a pompare petrolio scoraggiando l'enorme investimento iniziale richiesto da nuove prospezioni. E' lecita quindi la domanda: i mercati restano lucrativi per indurre gli Sceicchi a fornire petrolio, oppure e' la disponibilita' di petrolio che rende i mercati lucrativi?

Una ipotesi paradossale

Supponiamo che tutti gli esperti pessimisti (Laherrere, Campbell, Ivanhoe, Daly, Duncan, HubbertäPetroconsultants, Bernabe') abbiano torto e che la crosta terrestre galleggi su un mare di petrolio: in fondo la dimensione degli oceani trasformati in bacini petroliferi 200 milioni di anni fa non e' nota e le riserve potrebbero essere ancora immense, anche se e' difficile ingannare gli strumenti della moderna prospezione geologica. E' una ipotesi paradossale, ma vale la pena esprimerla perche' indica immediatamente un'altra scadenza forse piu' rigorosa della fine delle riserve di combustibili fossili: se in linea assurda fosse vero che non ci sono limiti alla disponibilita' di greggio, lo spazio dove bruciare altro greggio ha sicuramente un limite fisico preciso e misurabile che imporrebbe la transizione in termini di analoga, se non maggiore, urgenza. La ricreazione finisce per la fine simultanea di due importanti risorse: incerta o discutibile (se si vuole) quella del petrolio, sicura e ineludibile quella dello spazio dove bruciarne ancora. Un dato resta incontestato: quando i mercati assorbiranno la portata della informazione iniziera' la fine dell'Oil Interval. I dettagli e lo scarto "tecnico" di qualche anno contano poco.

La nuova posizione dell'IEA 

(Da MBendi Energy news)Nel 1997 la IEA (International Energy Agency) ha modificato la sua posizione sulle riserve complessive (ultimate reserves). E' interessante la ragione per la quale un organismo cosi' potente e importante modifica una linea che aveva assunto e difeso fin dalla sua fondazione. Fino al 1997 ogni aumento della capacita' originariamente prevista di un bacino veniva considerato come un nuovo giacimento. La capacita' totale del giacimento veniva ricalcolata come somma della capacita' inizialmente valutata e della capacita' aggiuntiva successivamente scoperta. La procedura di valutazione corretta e' invece quella della "retrodatazione" (backdating) della nuova capacita' alla data di inizio dello sfruttamento del giacimento. In tal modo tutta la capacita' complessiva e' soggetta alle fasi di crescita iniziale della produzione, picco e declino e la quantita' di greggio totale disponibile e' ben diversa dalla somma delle due capacita' parziali. Questa ipotesi, dimostrata corretta da Campbell, e' stata accolta nel 1997 dall'IEA e ha sostanzialmente modificato la valutazione delle riserve totali disponibili nel mondo. Pochi operatori fuori dal campo specifico ne sono al corrente.

Le conseguenze 

Quando i mercati percepiranno le implicazioni di quanto brevemente illustrato iniziera', nei fatti, la "fine dell'Oil Interval": cio' avverra' piu' o meno nel 2010 con l'inizio del declino produttivo. Sulla prefigurazione degli scenari per il dopo-petrolio le posizioni si possono rudemente ridurre a quattro:

A. Ottimista: non succedera' nulla, si troveranno tecnologie ed energie sostitutive e tutto funzionera' senza drammi ne' problemi;

B
. Ragionevole ottimismo/pessimismo: ci sarannno difficolta' e saranno diverse e specifiche per le diverse situazioni tecnopolitiche e geografiche, i problemi saranno risolti con tensione e sacrificio diverso a seconda della gestione della transizione che si sara' in grado di svolgere;

C. Pessimista: gli aumenti del greggio metteranno in crisi il sistema, le alternative non saranno sufficienti e nemmeno tempestive, l'agricoltura non sara' in grado di produrre il cibo per la popolazione mondiale di 8 miliardi di soggetti: dopo una fase iniziale di violenta instabilita' si troveranno linee politiche, organizzative e tecnologiche capaci di innescare una transizione. Il costo sociale sara' enorme, ma i valori fondamentali della specie dei Cro Magnon saranno preservati. La popolazione mondiale crollera' in tre generazioni a circa un miliardo e mezzo di abitanti;

D. Catastrofe planetaria: nessuno scenario ipotizzabile, rischio di guerre nucleari, costo umano immenso. Il pianeta arrivera' al nuovo paradigma dopo una riduzione catastrofica della popolazione mondiale dagli 8 miliardi alle poche centinaia di milioni di abitanti. Probabilita' di annullamento della civilizzazione e ritorno a moduli primitivi (Olduvai Theory di Duncan).

Non ci sono molti argomenti, tranne la fede, per confortare gli ottimisti: i numeri relativi alle riserve disponibili sono poco eludibili e le stesse grandi compagnie stanno investendo in energie alternative oppure considerano il problema senza soluzione e quindi un non-problema. Qualunque tecnologia o sistema di tecnologie sostitutive degli idrocarburi necessita di almeno 50 anni prima di poter coprire in termini significativi l'attuale fabbisogno e la sua crescita esponenziale. Ci sono voluti a suo tempo piu' di cento anni per sostituire il carbone con il petrolio nonostante gli enormi vantaggi di questo combustibile. La messa in funzione di alternative credibili richiede enormi investimenti in termini di energia e capitale: miliardi di metri quadrati di collettori solari termici per sostituire conversioni a bassa entalpia (tipiche della residenza), oppure i milioni di eliche eoliche e di pannelli fotovoltaici. Anche l'ipotesi di pesante nuclearizzazione della produzione di energia elettrica non si salva a calcoli precisi in termini eMergetici (eMergy = contenuto di energia solare primaria di un oggetto un metodo messo a punto da H.T. Odum per evitare l'inganno di calcoli in denaro applicati all'energia). Quello che in particolare e' difficile da sostituire e' il greggio impiegato nei trasporti e nell'agricoltura (benzina, diesel e fertilizzanti). L'idrogeno e' per il momento una fonte di energia totalmente sovvenzionata dal petrolio e solo in un mondo ricco di energia elettrica di origine solare potra' essere prodotto in modo effettivamente alternativo, rimanendo, comunque, un combustibile che restituisce meno energia di quella necessaria per la sua produzione (scissione elettrolitica della molecola di acqua). L'etanolo e' fortemente sovvenzionato da fertilizzanti (di origine petrolchimica) e comunque la sua produzione non e' energeticamente un processo "attivo": ci vuole piu' energia per produrlo di quanta non ne restituisca. Restera' da risolvere il conflitto tra una agricoltura che sara' a mala pena in grado di alimentare la popolazione mondiale e una cultura non alimentare che assorbira' milioni di ettari di terreno agricolo. Una soluzione di questa contraddizione potra' forse venire dalla manipolazione genetica delle piante per la produzione di etanolo e potra' dispiacere a molti. Non vanno sottovalutate due altre implicazioni dell'ipotesi "etanolo": il possibile riscatto dalla dipendenza energetica di vaste regioni geografiche di attuale sottosviluppo, il positivo effetto di vaste aree vegetali (milioni di ettari) sulle dinamiche climatiche per effetto della evapotraspirazione e dell'assorbimento di CO2

L'atteggiamento ottimista della posizone A, che e' quello attualmente implicitamente dominante nella politica mondiale, nonostante le apparenze pragmatiche, e' astratto dalla realta' ed e' in sostanza quello che ci condurra' alla ipotesi D (catastrofe planetaria incontrollabile) e al rischio di estinzione. La posizione D (catastrofe planetaria incontrollabile) ha interesse unicamente come ipotesi ispiratrice di cinematografia commerciale (Mad Max e simili) e di letteratura fantascientifica di colore piu' o meno violento. Grande titolo anticipatore fu quello di Roberto Vacca "il Medioevo prossimo venturo" della fine degli anni 70 che ho scelto di rievocare nel mio titolo. Invece all'interno delle posizioni B e C ci sono spazi interessanti da esplorare, non tanto in quanto sia possibile "risolvere" il problema, rinviare la fine dell'Oil Interval, ma piuttosto per la possibilita' di istruirne la gestione e il "progetto" per renderlo meno crudele e meno ingiusto.

Elementi per un progetto della transizione 

La prima cosa da fare e' istruire una radicale riforma dell'economia "classica" inserendo in questa la condizione finita dell'ambiente che ospita i processi economici. Molti fenomeni e processi che gli economisti gestiscono sbrigativamente con il termine di "esternalita'" sono in realta' fattori determinanti sempre piu' forti e intimi nelle dinamiche di scambio e nei processi di trasformazione a tutte le scale:

A. L'energia e la sua complessita' qualitativa, la sua disponibilita' limitata, la sua capacita' sostitutiva di manodopera e di rendimenti agricoli, il suo valore di garanzia politica, i suoi "futuri" e le relative implicazioni finanziarie e sui tassi di scambio delle monete.

B. L'inquinamento ambientale, il degrado dei suoli, il calo delle rese dei terreni agricoli, il dilavamento degli strati fertili, la salinificazione dei terreni, gli abbassamenti delle falde acquifere, i processi di desertificazione indotti da overgrazing, da sfruttamento agricolo eccessivo e da monoculture, la dipendenza da fertilizzanti e da pesticidi.

C. La carenza di acqua e l'inquinamento dell'aria, la modifica del clima

Questi sono solo alcuni degli elementi fisici che l'economia classica trascura in quanto "esterni" agli assunti fondamentali che costituiscono l'astrazione teorica in base alla quale vengono modellati i grandi valori di scambio. Vi sono poi elementi ideologici e culturali che vanno valutati in modo affatto diverso da quanto non si sia fatto fino ad oggi:

A. La volizione "sociale" o "culturale" dei soggetti economici: ossia il formarsi di volonta' collettive altruistiche che superano l'interesse personale e privato. Una corretta rappresentazione del "selfish gene" che tenga presenti gli elementi di connotazione sociale che ne determinano reazioni e tensioni etiche potrebbe provocare una rivoluzione copernicana nell'economia classica e nel suo paradigma

B. Gli effetti della informazione e della formazione culturale sui comportamenti di individui e di gruppi sociali e nazionali.

C. L'introduzione di parametri piu' complessi del PNL come misuratori economici e di benessere come l'Indice della Qualita' Fisica della Vita o indicatori della "salute ecologica". Il valore di una moneta dipende non solo dalle risorse "attive" della sua economia, ma anche dalle voci passive dei costi ambientali e sociali in scadenza a breve o lungo termine.

Si tratta di una totale revisione delle categorie che oggi stanno alla base della disciplina per la quale va predisposta, come condizione preliminare ed esclusiva, una comprensione culturale capace di vincere la forte e rigida conservazione che connota i templi e i sacerdoti della economia classica dove qualunque proposta di aggredire la significativita' del PNL come unico indice rappresentativo sintetico globale, e' stata fino ad oggi trattata con aperto scetticismo. Il lavoro da fare e' quello di smantellare la "fallacy of misplaced concreteness": come Alfred North Whitehead ha definito la erronea e assoluta sicurezza verniciata di concreto realismo che caratterizza il verbo economico classico. Fare astrazioni semplificanti, dimenticarsene e credere che il modello astratto e semplificato sia la realta' e imporla come tale. Tentativi importanti e significativi di ri-fondare in termini meno astratti la disciplina sono in corso (Hermann E. Daly, John B. Cobb Jr, Robert Costanza, H.T. Odum), ma richiederanno tempi lunghi: una o due generazioni accademiche? Quando l'economia, informata della dimensione finita di risorse e ambiente, li valutasse correttamente, si innescherebbe un flusso di denaro e di professionalita' industriale sui problemi che verrebbero affrontati seriamente. Non e' possibile pretendere un nuovo "paradigma" se questo non ha solide radici e motivazioni economiche e cio' non e' possibile fino a quando i fondamenti dell'economia classica sono basati su assunti errati. In questo senso vanno denunciate le responsabilita' gravi degli enti preposti alla gestione energetica e ambientale, per l'Italia uno li rappresenta tutti: l'ENEA che per anni e' stato diretto e gestito con criteri rigorosamente subalterni alla "fallacy of misplaced concreteness". Una gestione diversa e meno arrogante di quell'ente negli anni 70/80 vedrebbe oggi il Paese in condizioni meno precarie a fronte dei problemi in scadenza e in emergenza strategica. L'ENEA fu dominato a suo tempo da una monocultura nucleare che era gia' allora sconfitta per la inadeguatezza macroeconomica prima ancora che per quella energetica, ambientale e strategica: la vera transizione non e' il passaggio ad una altra risorsa a termine (uranio) fortemente dipendente da un'altra risorsa a termine (petrolio), ma il passaggio alle risorse di flusso e la modifica della cultura ambientale. Le responsabilita' internazionali sono della IEA (International Energy Agency) per quanto concerne l'energia e della banca Mondiale e dell'IMF per quanto concerne il ritardo nell'adeguamento teorico della economia classica.

Nella terza area, la contabilita' della bilancia dei pagamenti, la esportazione di capitale naturale - sia petrolio o legname tagliato oltre le rese sostenibili - viene inserita nei conti correnti e trattata come entrata. Si tratta di un errore contabile. Alcune quote di queste esportazioni non sostenibili dovrebbero venire considerate come vendita di patrimonio capitale e contabilizzate come tali. Se cosi' si facesse, alcuni paesi vedrebbero la loro bilancia dei pagamenti apparentemente attiva passare al passivo, una passivita' finanziata dalla diminuizione e dal trasferimento all'estero della loro riserva di capitale naturale. La riclassificazione delle transazioni in modo tale per cui la bilancia dei pagamenti da attiva diventa passiva innescherebbe una azione e raccomandazioni dell'International Monetary Fund completamente diverse. La riforma della contabilita' delle bilance dei pagamenti dovrebbe essere una priorita' significativa del nuovo interesse dell'IMF nello sviluppo sostenibile. La Banca Mondiale dovrebbe caldamente raccomandare i dirigenti e lo staff della loro organizzazione sorella ad attivarsi in questo senso - ma non e' una cosa che gli viene molto naturale". (da Hermann Daly "Beyond Growth" capitolo 5, pagina 89) 

La fattibilita' tecnologica 

Il catalogo di tecnologie alternative (al petrolio) e' ampio sia sul versante dell'offerta di energia che sul versante della domanda (integrazioni sistemiche, modifiche di processi e aumento dei rendimenti di primo e secondo ordine). La sequenza canonica: eliminazione degli sprechi, risparmio, alternative dovra' essere rispettata criticamente. Dati i lunghi tempi richiesti dalle alternative queste vanno anticipate al massimo anche a rischio di mettere energia alternativa su un modello che spreca e che non risparmia. Di seguito elenco alcune opzioni con qualche cifra di vago riferimento quantitativo. La strategia di insieme o di sistema vedra' queste opzioni attuate con criteri molto articolati ed eventualmente lasciati ad una economia di mercato correttamente informata dai valori "energetici e ambientali" e specificamente riferita alle diverse situazioni geografiche La fase di transizione piu' difficile, che durera' dai trenta ai quaranta anni, sara' supportata dal greggio marginale, dal gas naturale e dal carbone. La lobby nucleare tentera' di imporre la tecnologia sull'onda del terrore provocato dalla fine del greggio, ma sarebbe una soluzione di breve termine e molto costosa energeticamente. Il nucleare dipende pesantemente dal greggio per la sua costruzione e restituisce l'energia investita in molti anni a fronte di ritorni immediati delle tecnologie di conservazione e di molte alternative di flusso (solare termico e PV, vento, idro, maree, onde, OTEC). Il vincolo piu' difficile da risolvere di un forte investimento nucleare sarebbe la struttura della rete che verrebbe ulteriormente polarizzata e sarebbe difficile da convertire al modello diffuso necessario per il solare PV, l'eolico e le fuel cells decentrate.

Ed ecco il breve elenco di potenziali tecnologie con le quali operare la transizione:

A. Sostituzione con energia solare a bassa entalpia di tutte o del massimo di utenze attualmente servite dal petrolio: per avere un ordine di grandezza si tratta di circa il 25% della conversione globale in un paese industrializzato. In termini di metri quadrati si tratta di circa 5 metri quadrati di collettori a basso rendimento o 3 metri quadrati di collettori ad elevato rendimento (tubo di calore sotto vuoto con superficie selettiva) per abitante di un paese in clima temperato. In termini di denaro corrente la cifra potrebbe variare da US$1250-1400 (2000) per abitante da spendere in un arco di tempo di 15-20 anni. La valutazione in denaro attuale peraltro ha poco senso: tutte le comparazioni energetiche andrebbero fatte in una contabilita' unificata basata su unita' di energia solare: cfr il concetto di Emergy di H. T. Odum.

B. Sostituzione con energia elettrica di origine solare fotovoltaica ed eolica diffusa del 15% dell'utenza elettrica.

C. Sostituzione con energia elettrica di orgine neo-idroelettrica (tidal, OTEC, waves) del 5% del flusso elettrico di orgine termica attuale.

In considerazione dei diversi rendimenti queste sostituzioni corrisponderebbero alla sostituzione di circa 2/3 di primario fossile attualmente convertito in energia elettrica

D. Eliminazione di utenze inutili e dannose: 15%.

E. Aumento delle efficienze di sistema e di impianto: 10%

F. Sostituzione dei combustibili fossili nei trasporti con idrogeno prodotto da energia elettrica Photovoltaica (18%).

G. Supplenze di breve termine e transitorie con greggio marginale e gas naturale. 

A questo punto avremmo un sistema energetico ambientale dove i combustibili fossili, preziosissimi, coprirebbero solo conversioni non sostituibili da fonti alternative (aereotrasporti, conversioni ad elevata entalpia). Il costo del greggio costringera' in tempi brevi alla revisione delle tecnologie, o il paradigma socio-culturale che istruisce la domanda per quei servizi che non riescono ad adattarsi sara' messo in crisi.

Nota: mi rendo perfettamente conto che la fornitura di queste semplici ipotesi numeriche mi espone alla aggressione dei "ragionieri". Ricordo solo che nella storia, da qualche decina di secoli, i "ragionieri" hanno sempre avuto torto ed enormi responsabilita'. Il termine corretto sarebbe "scoliasti": ma e' uno snobismo montaliano che avrebbe poca comprensione. I numeri sono forniti per provocare la riflessione sulla effettiva portata della sfida.

Discussione 

Sui numeri proposti, e sulle lacune del modello, si possono avere discussioni infinite:

E. dimensione della risorsa "ultima"

F. tempi del "picco di produzione"

G. percentuale del declino annuale nella produzione di greggio

H. strategie della transizione

I. risorse disponibili per la transizione

J. paradigma economico della transizione

K. geografia della transizione

L. tempi della sostituzione tecnologica

M. reperibilita' delle superfici per i collettori solari

N. reperibilita' del capitale 

O. difficolta' di operare in regime di carenza dei combustibili fossili

P. contenuto di eMergia delle tecnologie alternative e della loro manutenzione e aggiornamento

Q. difficolta' di adattare le reti elettriche attuali strutturate da produzione centralizzata e utenza diffusa

Sul fatto che il felice intervallo delle risorse energetiche e/o ambientali illimitate e gratuite sia finito, invece, c'e' poco da discutere. Il processo di transizione potrebbe venire facilitato dal calo demografico in atto in nei paesi industrializzati ma ancora lontano per i paesi del terzo mondo che vedrebbe l'economia del Pianeta complessivamente alleggerita da fabbisogno di cibo ed energia. La crescita demografica incontrollata rappresenta una premessa non risolvibile per qualunque ipotesi di modifica del "paradigma". La difficolta' dell'ipotesi di "ragionevole utopia" delineata e' di carattere politico culturale e non tecnologico: manca la coscienza della scarsita' prossima ventura, mancano le strategie, le leggi e le norme a livello nazionale e internazionale, mancano gli strumenti professionali per affrontare la scarsita', mancano i rudimenti di una teoria economica efficace e coerente con la realta', mancano i curricula universitari che sono tutti solidamente radicati in 60 anni di affluenza, di presunta abbondanza energetica e scialo ambientale. L'unico strumento al quale ci si appella e' quello del "mercato": che e' strumento certamente efficace, sicuramente brutale e struttura di crudele privilegio per pochi. Se questo non bastasse, lo strumento viene ulteriormente deformato con la informazione di dati falsificati. La vera rivoluzione non e' certamente quella tecnologica. 

Conclusione 

Stiamo costruendo citta', autostrade, case, industrie, tunnels, ponti che assumono come ipotesi certa la disponibilita' di petrolio e derivati per i prossimi 100 anni e forse di piu'. La Boeing e l'Airbus disegnano e vendono aerei che voleranno consumando milioni di metri cubi di kerosene per i prossimi 40 anni, la General Motors disegna e vende automobili che funzioneranno utilmente per almeno venti anni consumando benzina che potrebbe costare 30 $US al litro, o idrogeno che se non prodotto in modo innovativo (solare) potrebbe costare anche di piu'. L'assetto attuale del Pianeta "globalizzato" si basa sulla disponibilita' di petrolio a basso prezzo per almeno 100 anni, almeno 4 miliardi di abitanti del Pianeta sperano di arrivare nella loro vita o in quella dei figli a un minimo di "affluenza". Due miliardi di abitanti vive in condizioni di mera sussistenza. Decine di milioni di uomini muoiono di fame ogni giorno. L'agricoltura dipende quasi esclusivamente da combustibili e fertilizzanti di origine fossile. Ogni anno una superficie di foreste equivalente all'estensione dell'Austria viene rasa al suolo, un kilogrammo di humus viene dilavato e mineralizzato per ogni tre kilogrammi di cereali prodotti, milioni di ettari di terreno agricolo sono persi ogni anno per fenomeni di salinificazione e desertificazione. Ogni venti giorni la popolazione mondiale aumenta di 3 milioni di individui. Il 40% degli abitanti del Pianeta consuma il 70% della produzione corrente di petrolio. Tutto questo per effetto di una disciplina economica astratta che non riconosce la piu' banale delle evidenze: il valore di scambio della risorsa ambientale.

Lo spazio per un intervento politico sovranazionale responsabile e competente e' enorme, l'urgenza drammatica.

Nello schematico racconto proposto tutto sembra facile e sereno. Si tratta in realta' della sfida piu' grande mai affrontata dalla specie dei Cro Magnon con margini di riuscita strettissimi e sicuri enormi sacrifici di scala planetaria e antropologica. I prossimi trenta anni saranno tempi "interessanti" nel senso della antica maledizione cinese (che tu possa vivere in tempi interessanti). L'alternativa al successo e' l'ipotesi della catastrofe planetaria. Insieme alla riforma dell'economia un enorme lavoro di progettazione e di organizzazione tecnoloogica deve essere predisposto e svolto in tempi molto brevi per istruire le condizioni di innesco del Natural Capitalism proposto da Lovins e Hunter. Dal capitalismo crematistico malsano e deforme attuale a quello "naturale" di Amory Lovins ci separano trenta anni durissimi e affascinanti: la grande sfida della "transizione". 

La sfida e' trasformare un sistema economico, tecnologico, politico industriale rozzamente strutturato dalla devastazione ambientale e dallo spreco in un sistema strutturato dal rigoroso rispetto ambientale e dalla "scarsita'". Da una parte l'estinzione della specie nell'arco di qualche decade, dall'altra un vero, nuovo rinascimento.

Culturalmente e politicamente dovranno essere difesi i valori di solidarieta' democratica internazionale a fronte di pressioni nazionali, totalitarie, settarie e di elites fortissime, il pericolo di atteggiamenti disperati dei paesi dotati di armi nucleari e' enorme.

Se i Cro Magnon vinceranno potranno ancora sognare, ma solo se saranno capaci di sognare potranno vincere. 

*L'architetto Lorenzo MNatteoli è nato a Milano nel 1937, diploma alla Lincoln High School di Portland Oregon, maturita' classica al Liceo Cavour di Torino (1956), laurea in architettura al Politecnico di Torino (1962), Ordinario di Tecnologia dell'Architettura alla Facolta' di Architettura del Politecnico di Torino (1978), Preside della Facolta' dal 1981 al 1986, direttore del Dipartimento di Scienze e Tecniche per i Processi di Insediamento (1983-1989), Assessore per il Partito Socialista Italiano al Comune di Torino dal 1986 al 1992. Durante il servizio come Assessore è stato responsabile della realizzazione del nuovo stadio di Torino lo "Stadio Delle Alpi". Lo Stadio delle Alpi e' l'unico edificio pubblico Italiano realizzato nel rigoroso e puntuale rispetto del contratto di concessione: non una lira in piu' di quanto pattuito, non un giorno in piu' di cantiere. Un record che ha pagato caro. Ha Lasciato l'Amministrazione nel 1992 per andare a Jakarta come Addetto scientifico presso l'Ambasciata Italiana 1992-1994. È stato fra i primi in Italia ad applicare l'energia solare al riscaldamento degli edifici: all'edilizia scolastica con il Ministero della Pubblica Istruzione (1976), all'edilizia economica e popolare con il Ministero dei Lavori Pubblici e la Commissione Europea (1980), e fra i primi in Italia a promuovere, insegnare e sostenere politicamente una radicale rivoluzione della cultura tecnologica e progettuale per una architettura autentica e ambientalmente coerente (Azione Ambiente, ed. Cortina, Torino 1977).
Dal 1995 vive, studia e scrive a Perth (Western Australia) e a Indian Harbour (Nova Scotia, Canada).