L’idea di organizzare in un Istituto Magistrale di Milano una classe per soli studenti islamici ha sollevato in tutta Italia un dibattito vivo con schieramenti “anomali” degli “opinion leaders”. L’idea del preside milanese seguiva alla raccomandazione della Regione Campania di permettere il riconoscimento nel calendario scolastico delle feste islamiche (a dire il vero lasciando liberi i distretti scolastici di decidere nel merito) che anche aveva sollevato qualche obiezione. Non credo valga la pena elaborare a lungo sull’inammissibilità dell’idea balzana del preside milanese. Integrare vuol dire comprendere (dal latino comprehendere) abbracciare, capire, comunicare, ascoltare, accogliere e nessuna di queste cose può essere rappresentata dallo squallore della separazione fisica di una classe “ghetto” di soli studenti musulmani. Indipendentemente dalle pelose “buone intenzioni”. Immaginiamo cosa sarebbe successo se negli anni ‘50 e ‘60 si fossero proposte a Milano e a Torino classi per soli “calabresi” o per soli “siciliani” allo scopo di “facilitarne l’integrazione” nel contesto Lombardo o Piemontese. Ne’ voglio fare l’esempio di una classe di soli studenti Ebrei al Liceo Carducci di Milano o al Liceo Cavour di Torino nel 1938: ancora oggi si scriverebbero volumi sull’ignominia. E non escludo che qualche preside in orbace del famigerato ventennio non abbia coltivato l’idea. Gli studenti musulmani e i loro compagni italiani sarebbero privati dell’insostituibile intensità di scambio dialettico, d’informazioni, di sentimenti che i “compagni di scuola” da sempre istruiscono. Per una vita ricordiamo e ricerchiamo i “compagni di scuola” e non per caso, ma precisamente per l’intenso significato che rimane, incancellabile, all’esser cresciuti insieme, in un luogo in un momento. Una definizione quasi emblematica di “cultura”. Alcuni hanno detto: “ ...ma sono loro che lo hanno chiesto!” come se questa richiesta fosse fonte di legittimazione e non indicativa di altri problemi da risolvere altrove, in altro modo da altre competenze. Altri hanno ricordato l’esperienza delle classi per i figli dei pescatori Tunisini a suo tempo organizzate a Mazara del Vallo: nessuno si è premurato di andare a vedere cosa era successo di quel tentativo e quali siano state le ragioni del fallimento totale dell’iniziativa. L’idea del preside dell’Agnesi è quindi, da bocciare e censurare severamente senza beneficio d’incertezza o dubbio alcuno. Ridicola l’idea che la classe “segregata” consente una “gradualità” dell’inserimento, o che “protegga” gli studenti musulmani dall’aggressione del contesto e viceversa. Il confronto fa parte del processo dialettico e formativo, evitarlo vuol dire negare uno strumento didattico essenziale in nome di una finta paternalistica “comprensione”. Per non sospettare di peggio. Resta da capire come mai una parte della “sinistra intellettuale” italiana, e milanese in particolare, abbia cincischiato con il dubbio e non abbia immediatamente condannato in modo esplicito quella che era invece un’infelice scivolata di modesta levatura critica del preside dell’Istituto Magistrale di Stato Agnesi. Questa analisi è più dolorosa perché tocca da vicino il problema attuale di quella “sinistra intellettuale” incapace d’elaborazione critica propria e di derivare da principi inderogabili linee comportamentali e politiche chiare ed efficaci. Una sinistra che sembra imbrigliata dalla “paura di non essere sufficientemente di sinistra” e che deve quindi assumere posizioni a dir poco retrive pensando invece che siano qualificanti. Peggio ancora una sinistra che gioca di rimessa: siccome il ministro Letizia Moratti ha bloccato con fermezza l’iniziativa invocando il principio costituzionale, è obbligatorio schierarsi “contro” e quindi cantare l’insipido peana della “gradualità”, della situazione “complessa”, della prassi che non si può semplificare grossolanamente etc. etc. Questa dinamica è corrente nell’Italia di Berlusconi e spesso si deve andare ”contro” non tanto per ragioni di sostanza, quanto per ragioni di nominale apparenza. “Essere di sinistra” vuole anche dire assumere posizioni chiare e non ambigue su principi fondamentali senza avere dubbi solo perché nella specifica istanza un ministro del governo Berlusconi ha la stessa idea.
C’e’ sicuramente una linea e un modo “di sinistra” nel respingere l’idea settaria del ghettino per studenti islamici: capire, comprendere, imparare, accogliere, parlarsi, abbracciare, ridere e piangere insieme. Non si diceva “compagni” una volta? Recuperare il coraggio delle proprie idee e il coraggio di esprimerle.
Lorenzo Matteoli Milano 21 luglio 2004