Signor Presidente, una crisi internazionale di questa portata merita un
comportamento politico che cerchi di equilibrare un sano realismo con la nostra
posizione nel contesto europeo, nel contesto dell'alleanza atlantica e con il
nostro rapporto con le nazioni amiche di tutto il mondo arabo. Questo non deve
significare certamente la rinuncia alle assunzioni di responsabilità dinanzi
alle minacce concrete o un sostegno aperto a chi congiura contro la pace e la
stabilità. Tuttavia, la gestione della crisi irachena da parte dell'amministrazione
americana, i suoi riflessi interni e le ragioni legittime che intendono
sostenerla non sono e non possono essere le stesse che orientano la politica
estera del nostro paese per tanti, ovvi e comprensibili motivi.
Il Presidente del Consiglio ha spostato l'asse del nostro paese collocandosi poco dopo l'Inghilterra dietro la posizione di Washington. È una scelta politica chiara e netta, ma essa si presta ad un rischio che deve essere altrettanto chiaro ed altrettanto netto. Se una campagna militare si trasformasse, anziché in un'azione di contrasto contro il terrorismo, in un'avventura, è evidente che ci troveremmo a dover fare i conti con una situazione molto pericolosa, ad affrontare l'ostilità del mondo arabo pagando un prezzo politico ed economico molto alto. In Italia e nel mondo questo secondo tempo della lotta al terrorismo è osservato con legittima preoccupazione. Saddam dimostra di essere un pericolo ed un ostacolo ed egli deve rispettare i deliberati del Consiglio di sicurezza, egli deve accettare gli ispettori internazionali che devono ricevere un mandato chiaro da osservare in tempi certi.
Parimenti, però, tutti i paesi che non rispettano i deliberati del Consiglio di sicurezza devono essere richiamati al rispetto delle regole. In Medio Oriente non vi possono essere pesi e misure differenti. L'Iraq deve rispettare i deliberati dell'ONU, Israele deve rispettare le regole internazionali e il Governo italiano non può rimanere silenzioso dinanzi alla tragedia palestinese. L'assedio perpetuo al quartiere generale dell'autorità nazionale palestinese è una vergogna, una vergogna per chi lo esercita e una vergogna per chi lo consente con il suo silenzio assenso.
Onorevoli colleghi, sarebbe auspicabile una linea di condotta sulla politica internazionale che sapesse tenere unito il nostro paese.
Osservo, però, che ad inseguire la sinistra reale del nostro paese c'è da farsi venire il mal di mare: con Blair e con l'Europa quando si deve liquidare il dittatore di Belgrado, ma quando bisogna intimare l'altolà ad un dittatore despota cento volte più pericoloso di Milosevic si preferisce un problematico distinguo. Dobbiamo sapere che la politica estera italiana ha sempre goduto di un naturale punto di equilibrio. Tale equilibrio deve essere conservato proprio perché quello che stiamo vivendo è un momento delicato. Vi è un nuovo protagonismo italiano della politica estera e proprio grazie a questo l'Italia deve essere tanto più autorevole e può essere ascoltata quanto più essa è autorevole. Non dobbiamo, però, perdere il contatto ed il dialogo con i paesi vicini, con i paesi amici, con i paesi di frontiera: è nel nostro interesse politico, sociale, economico. L'alleanza deve essere tanto più salda e l'amicizia con gli americani deve essere tanto più onesta quando si affrontano tutte le implicazioni che un eventuale escalation del conflitto militare potrebbe provocare. Si tratta di un'operazione verità di fronte alla quale non potrà mancare l'assunzione di responsabilità. Se si dimostrerà che Saddam è una minaccia per l'intera umanità allora le Nazioni Unite possono legittimare l'uso della forza, ma se così non fosse sarebbe imperdonabile e financo amorale sostenere un intervento unilaterale.
Sono certo, onorevoli colleghi, che il Governo italiano saprà comportarsi con tutto il senso di giustizia politico di cui è capace nell'interesse della sicurezza, della convivenza tra i popoli e della pace.