Una sconfitta non si discute, tanto meno una sconfitta netta come quella
delle regionali 2005, e a caldo è difficile fare analisi lucide. Qualcosa però
si può dire, pur con beneficio di inventario. Perché l’Ulivo ha intercettato lo
spostamento di voti? Si dice: è a causa della crisi economica. Lo ha affermato
lo stesso Berlusconi, in Porta a Porta, prima ancora del voto. E’ indubbiamente
vero che dal 2001 a oggi le elezioni in tutta Europa hanno sempre premiato le
opposizioni, a causa della pesante crisi economica. Ma questo, tuttavia, non
spiega tutto. Ad esempio, gli elettori di Genova erano “governati” da un sindaco
unionista, da un presidente della Provincia unionista. Il presidente uscente
della Regione era invece della CdL. Possibile che le colpe della crisi economica
siano state imputate tutte alla Regione, e non al Comune e alla Provincia? Come
mai allora Napoli ha votato -in dimensioni bulgare- per Bassolino? Eppure si
tratta di una regione -ognuno lo vede- dall’economia sfasciata, con una
organizzazione del territorio disastrosa (si pensi alla gestione dei rifiuti),
con una situazione sociale degradata e degradante, nella quale la camorra e la
cultura dell’illegalità non solo non sono sconfitte, ma sono più forti che mai.
Se la Campania fosse governata dalla destra, l’Unità spiegherebbe l’arcano
attribuendone la colpa al controllo dei voti da parte della camorra. Non sarebbe
strano: è la spiegazione offerta dopo le elezioni in Sicilia... La chiave di
lettura dell’economia, comunque sia, non spiega la sconfitta. Non la spiega
tanto più se focalizziamo le quattro regioni dove maggiore è la presenza della
Casa delle Libertà: Lombardia, Veneto, Lazio e Puglia. Si tratta delle zone che
più contribuiscono alla ricchezza nazionale, dove maggiormente è diffusa la
libera imprenditoria, dove è minore la gestione del territorio e dei capitali da
parte delle sinistre, dove c’è minore cultura assistenzialista. A queste regioni
si avvicina anche il Piemonte -dove non a caso la forbice tra i due schieramenti
è piccola. Tuttavia a Torino governa un apparato industriale modellato sul
capitalismo di stato, l’imprenditoria è concentrata ancora nelle mani della Fiat
e dei suoi addentellati, c’è una marea di dipendenti desiderosi di politiche di
tutela a “prescindere”. Nelle altre quattro regioni industrializzate (non
contiamo l’Emilia e Romagna, caso di capitalismo di stato ad alto controllo, da
un secolo a oggi), la percezione della crisi economica non ha spostato i voti
degli elettori. No, la spiegazione economicista, da sola, non spiega tutto. La
politica estera di Berlusconi è peraltro percepita correttamente dalla
popolazione: non è certo colpa dell’alleanza con Blair e Bush questa débacle.
Allora occorre guardare altrove. Intanto proprio il punctum dolens, l’anello
debole di Berlusconi, ciò per cui egli viene messo in croce dal gruppo De
Mita-De Benedetti-Prodi da 25 anni almeno: il supposto “dominio” dell’informazione.
Berlusconi non controlla l’informazione politico-sociale, anzi ne è vittima
sacrificale, come lo erano i democristiani. Ma lui ha meno potere di Andreotti.
Secondo punto: il “partito leggero” non va. L’Italia è uno stato inguaribilmente
bisognoso di leaders, e sottolineo il plurale, perché nel plurale sta la
differenza. Infatti le sinistre hanno -da sempre-, dal 1919 a oggi, il controllo
incontrastato dei governi periferici: è questo il vero potere reale. Attraverso
sindacati e sindaci si controlla l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.
Anche nel governo centrale, i prodiani sono gli unici in grado di riaprire il
“mercato” dei concorsi pubblici: scuola, sanità, stato e parastato. Inoltre le
sinistre, che pure sono accredidate come “ambientaliste”, gestiscono da decenni
la cementificazione del paese. Si tratta di cifre gestite in chiave di monopolio
dalla Lega delle Cooperative. Il mercato edile, in questi anni di crisi, è
diventato la vera Borsa Valori, offre rendimenti alti e sicuri. E se poi il
mattone, oltre a offendere la vista, ha di fatto bloccato l’economia
immobilizzando i capitali, chi se ne frega: la percezione popolare è che invece
sia Berlusconi il cementificatore del paese. Ma il controllo non è solo del
mercato edile: è anche delle corporazioni, sul modello del sistema di
riferimento, il fascismo. Così architetti, ingegneri, insieme alle corporazioni
dei medici e dei professori, sono dalla parte dell’Unione. C’è di più: la forza
di avere la Legge dalla propria parte, alla lettera. Chi può negare che la
corporazione dei magistrati è dalla parte di Prodi? Certo apparire come i
“difensori della legge”, è una pubblicità straordinaria e gratuita, un surplus
favoloso. L’imputato per l’affare SME è Berlusconi, invece di Prodi. Senza
dimenticare, come si fa, le depenalizzazioni sul finanziamento al PCI da parte
sovietica, gli appalti di Nomisma sulle Ferrovie etc. Aggiungiamo la massiccia
dimostrazione di potere esercitata in supporto alla lista Mussolini. Sono queste
esibizioni a convincere gli indecisi: la clamorosa notizia iniziale, subito
dirottata dalla mossa veltroniana sugli archivi comunali letti indebitamente,
fino alla allucinante sentenza del Consiglio di Stato e alla riammissione del
colpevole nella parte della ragione. Una considerazione sui candidati e su
alcune persone che formano la “classe dirigente” della CdL: il livello
qualitativo di molti rappresentanti, a Roma e ancora più in periferia, è
scadente. Chi comanda in Italia? Berlusconi deve costruire un partito che sia in
grado di radicarsi nel territorio, che entri nella gestione dell’economia
quotidiana, che abbia il controllo degli uffici tecnici comunali, che sia in
grado di contrastare il monopolio prodiano sulla possibilità di allargare un
muro di casa propria e mandare un figlio a lavorare in comune. Sono queste le
cose che gli elettori guardano. Mentre negli Stati Uniti il legame tra politici
e mondo della finanza e dell’economia è basato su lobbies-finanziatrici, che
mantengono comunque una separazione tra i due poteri, in Italia la situazione è
molto diversa. Le sinistre infatti non hanno soltanto il controllo del settore
edile, cioé della massima industria nazionale, non solo hanno il controllo di
molte corporazioni di professionisti, della maggior parte dei dipendenti
pubblici, dei magistrati. Quanti i conflitti di interesse delle sinistre di cui
non si può dire niente! Perché non si parla della proprietà di banche e
fondazioni bancarie, il Monte dei Paschi ma non solo? Perché non si parla del
controllo del settore agro-alimentare e della grande distribuzione, le Coop ma
non solo? Perchè non si parla del patrimonio immobiliare ereditato dal PCI e
dalla DC? Perché non si parla flirt con la Fiat, ancora un colosso nonostante la
sua gestione da bucanieri? Queste sono quindi le cose alle quali guarda l’elettorato:
chi ha il controllo reale dell’economia e del mercato del lavoro. Le tre
televisioni di Berlusconi producono grandi profitti, ma sono poco e nulla di
fronte alle proprietà dirette e indirette della sua controparte. Il controllo
dell’informazione da parte delle sinistre è il più difficile dei nemici,
soprattutto se si pensa che il migliore alleato di Scalfari è una gran parte di
giornalisti “liberali” indecisi a tutto se non imbecilli. Partendo dalla
negazione della crisi economica come chiave che spiega l’11 a 2 delle regionali,
siamo arrivati a una constatazione parallela: gli elettori hanno premiato chi
offriva potere, controllo, possibilità, lavoro dipendente con pensione, servizi
gratuiti, per quanto (questi due ultimi fattori) in una prospettiva provvisoria
e nel quadro di un sistema fallimentare, com’era per la DC a fine anni ‘80.
Difficile compito rovesciare questo quadro, e da svolgere in un anno soltanto.
Non impossibile. Se le regioni fondamentali ed economicamente più dinamiche -
dove l’alleanza con l’imprenditoria ha funzionato- riusciranno a trainare il
resto della nazione.
P.S. Dopo il referendum, sarà indispensabile allearsi coi
radicali.
*Paolo della Sala è il titolare del blog http://leguerrecivili.splinder.com/