Jiri
Pelikan, l'esule cecoslovacco, uno dei promotori della "Primavera di
Praga" del '68 e autore del libro "L'ultima resistenza" e' stato
commemorato il 7 mattina alla Camera, alla presenza del Presidente
Pierferdinando Casini, in occasione degli 80 anni dalla nascita. Un avvenimento
che Bobo Craxi definisce "estremamente importante: l'esule
dissidente- ricorda- si batte' strenuamente dall'esilio italiano per il
ripristino delle liberta' democratiche nella Cecoslovacchia in mano al regime
comunista". "E' significativo- aggiunge- che onorando suo
marito Jiri, la moglie abbia ricordato quale fu il ruolo essenziale di Bettino
Craxi nel sostegno concreto e operante a molti esponenti del dissenso nell'est,
in patria e in esilio". "Pelikan fu eletto nelle nostre liste alle
elezioni europee- rimarca Bobo Craxi - e fu un vero e proprio smacco per
l'allora dirigenza sovietica guidata da Breznev, che ne aveva da tempo voluto la
soppressione anche fisica. Fra gli errori storici della sinistra italiana non
potremo mai finire di annoverare quello fatto nei confronti dei dissidenti della
sinistra comunista nell'est che non riuscirono a trovare sostegno attivo se non
fra le file del socialismo democratico e liberale che il Psi rappresento' per
oltre un decennio".
Nato il 7 febbraio 1923 a Olomouc, giornalista e politico. Entra nella gioventù comunista nel 1939, durante la guerra viene incarcerato per alcuni mesi dai nazisti. Nel 1948-49 membro del Comitato d'azione comunista negli istituti scolastici, fautore delle epurazioni di docenti e studenti. Dal 1955 al '63 presidente dell'Unione studenti; dal 1963 al '68 è direttore della tv cecoslovacca; negli anni 1964-69 è deputato. Nell'ottobre 1968 dimesso dall'incarico di direttore tv, consigliere d'ambiasciata a Roma, dove nel '69 chiede e ottiene l'asilo politico Negli anni '80 è europarlamentare socialista. Dal 1970 pubblica a Roma la rivista "Listy". Negli anni 1990-91 è uno dei consiglieri della presidenza cecoslovacca. Muore a Roma il 26 giugno 1999.
22 agosto 1968. All'indomani dell'invasione di Praga da parte delle truppe del Patto di Varsavia, avvenuta nella notte tra il 20 e il 21 agosto, si riunisce nel sobborgo operaio di Vysocany il congresso del Partito comunista cecoslovacco. La cronaca di quell'evento, che rimarrà unico nella storia del "socialismo reale" (un partito al potere in un paese socialista è costretto a riunirsi clandestinamente e ai suoi principali dirigenti viene impedito di prendere parte al congresso, mentre il paese viene occupato dagli eserciti degli altri paesi socialisti), è qui narrata in modo dettagliato, straordinariamente vivo e concitato, a partire dai resoconti testuali. A riportare alla luce questo documento, indispensabile per ricostruire la vicenda della Primavera di Praga e la breve stagione di speranza in un "socialismo dal volto umano", è uno dei protagonisti principali di quegli eventi, Jirí Pelikán, che ha riconsiderato, a trent'anni di distanza, le vicende dell'agosto del 1968.
...Pelikán, credo, fu tra i primi a capire che il dissidio era definitivo e irreparabile. Se ne accorse paradossalmente perché venne in Italia nell'autunno del 1968 quale consigliere culturale dell'ambasciata cecoslovacca, e scelse di restarvi, in esilio, dopo la defenestrazione di Dubcek nell'aprile dell'anno seguente. Qui prese naturalmente contatto con i comunisti italiani, vale a dire con i membri del partito europeo che aveva più chiaramente espresso «dissenso e riprovazione nei riguardi dell'intervento»... Sergio Romano
...Effettivamente, è senza precedenti il fatto che il congresso di un partito comunista, al potere in un paese socialista, sia costretto a riunirsi clandestinamente, stante l'occupazione, da parte degli eserciti di altri paesi socialisti, del paese in questione. È anche senza precedenti che i risultati di tale congresso del partito comunista, sebbene regolarmente convocato e svoltosi conformemente allo statuto del partito, non possano essere pubblicati in quel paese. Infine, è senza precedenti che ai principali dirigenti di un partito comunista al potere venga impedito di prender parte al congresso del loro partito, prima con l'accerchiamento dell'edificio del comitato centrale da parte dei carri armati di un altro paese socialista, e poi con l'arresto e il trasporto coatto in un altro paese socialista, dove finiranno, sotto la minaccia delle armi, con l'«annullare» i risultati del congresso. Eppure tutto questo è avvenuto nell'agosto del 1968 in Cecoslovacchia, paese socialista nel cuore dell'Europa, dove il XIV congresso straordinario del Partito comunista si riunì in tali condizioni... Jiri Pelikan
Il tempo, di solito prodigo di risarcimenti morali, non è stato generoso con Alexander Dubcek, con Josef Smrkovsky e un po' con tutti i «comunisti riformatori» che hanno finito con l'essere due volte sconfitti, in quanto riformatori (da altri comunisti) e in quanto comunisti (dalla storia). Non è stato neanche generoso con la Primavera di Praga: il suo trentesimo anniversario è passato quasi in sordina e, dopo la fine del «socialismo reale» che ha trascinato con sé anche il «comunismo riformatore», il suo esempio non è più apparso come un'occasione persa nell'Europa di quest'ultimo mezzo secolo, ma è stato ridotto a una parentesi che ha riguardato essenzialmente il passato di una sinistra che non c'è più, anzi una breve parentesi che l'occupazione sovietica aveva chiuso per sempre e che non fu riaperta neppure dall'ultimo tentativo di riformare il comunismo, quello compiuto da Gorbaciov. Alexander Dubcek era riapparso sulla scena nel gennaio del 1988, attraverso un'intervista all'Unità realizzata anche grazie all'aiuto di Jirí Pelikán poco prima del Natale del 1987. Ci eravamo visti a Praga, in Piazza Venceslao; accompagnato da Vacláv Slavik, che era stato un suo stretto collaboratore nei mesi del «nuovo corso», Dubcek era spuntato dalla stazione della metropolitana come un qualsiasi altro passante; ma era un uomo che veniva dal passato, che usciva direttamente da un esilio - quello che si chiama «esilio interno» - durato oltre diciott'anni, nel quale era stato relegato quando aveva i capelli neri e dal quale tornava con i capelli grigi. Allora, guardando alla perestrojka e alla glasnost sovietiche, c'era ancora l'illusione che il comunismo fosse riformabile, che potesse in qualche modo essere coniugato con la democrazia. E c'era il rimpianto per il 1968, quando si pensava che sarebbe stato possibile farlo, se a Mosca non ci fosse stato Breznev. Ma nella realtà non è successo e, alla fin fine, non resta che dar ragione a chi aveva pensato che non potesse succedere... Renzo Foa