Oltre
all'aggressione al candidato sindaco di Torino per la Casa delle Libertà, Roberto Rosso e all' assessore regionale all'
agricoltura Deodato Scanderebech,, ai quali è stato impedito, da parte
di attivisti di DS e dei Comunisti Italiani di partecipare al corteo del primo
maggio, a Napoli le cose non vanno meglio. "Berlusconi non può mettere
piede a Napoli in occasione della Festa del lavoro". Anzi: per lui scatta
da subito "il divieto di permanere nel Comune di Napoli per i prossimi
cinque anni". E' il pronunciamento, rilanciato dalle agenzie di stampa, dei
Centri Sociali napoletani, cioè delle frange estreme di uno squadrismo rosso
che sta rialzando la testa in modo preoccupante. Il leader dell'opposizione, che
ha ovviamente tutto il diritto di celebrare la festa del lavoro perché sul
lavoro ha imperniato la sua vita e con le sue aziende ha dato lavoro a decine di
migliaia di persone, non è dunque persona gradita ai signori dei centri sociali,
che il lavoro non sanno neppure cos'è. Ma il comunicato degli antagonisti si
spinge anche più in là, sottolineando "l'alta pericolosità per l'ordine
e la sicurezza pubblica" che Berlusconi rappresenta. L'avvertimento dei
centri sociali, giungendo in un momento di altissima tensione anche per la
rinascente mobilitazione terroristica, presenta risvolti inquietanti anche
perché si inserisce in un contesto politico molto particolare. Quando nacquero
le Brigate rosse, un sociologo coniò la definizione, che poi fece scuola,
"dell'acqua e dei pesci". Se i pesci brigatisti potevano nuotare,
infatti, doveva esserci un'acqua composta da cultura politica e connivenze che
permetteva loro di sopravvivere. La sinistra per molto tempo sottovalutò questo
fenomeno (per Bocca le Br erano "una favoletta", molti intellettuali
si ripararono dietro l'assurdo motto "Né con lo Stato né con le Br",
qualcuno li definì "compagni che sbagliano"), per poi prenderne
nettamente le distanze. Ma oggi sta ripetendo lo stesso errore. E' stato infatti
il centrosinistra, quando si è sentito scivolare di mano il potere, a scatenare
nel Paese un clima di odio contro il leader dell'opposizione democratica, a
suonare sulla Tv di Stato la grancassa della calunnia e della demonizzazione e a
dipingerlo, insomma, come il primo nemico dell'ordine costituito. Si sono
inscenati ripetuti processi mediatici basati su una fanghiglia accusatoria già
ampiamente archiviata da diverse procure, ma fatta riaffiorare per seminare
dubbi, per insinuare, per colpevolizzare Berlusconi delle cose più indegne. La
maggioranza e i suoi fiancheggiatori hanno realizzato una gogna permanente
contro il capo del centrodestra, ma invece di raccogliere i frutti sperati in
chiave elettorale hanno finito per scatenare le falangi più agguerrite dello
squadrismo rosso. I centri sociali, insomma, non fanno altro che nuotare nell'acqua
di odio versata copiosamente dal centrosinistra. E' un altro brutto segnale,
questo, dell'anomalia, anzi della patologia di una democrazia come quella
italiana in cui l'oligarchia che governa non si rassegna a perdere il potere.
Dispiace che fra coloro che stanno sottovalutando i pericoli delle contiguità
fra il cosiddetto popolo antagonista di Seattle e il nuovo terrorismo ci sia
anche Giuliano Amato, il quale ha teorizzato - riferendosi proprio agli
antagonisti - che anche chi non ha rappresentanza in Parlamento può e deve far
sentire la sua voce. Un ragionamento che può essere accettato solo se chi
manifesta lo fa rispettando le leggi e le regole democratiche, ma che apre
varchi rischiosi perché se si bypassa il principio rappresentativo, la
democrazia perde il suo cardine fondamentale. L'episodio di Napoli è
emblematico della concezione di libertà che hanno i centri sociali italiani.
Con buona pace del ministro Bianco, secondo il quale questa è una campagna
elettorale senza pericoli e senza turbamenti. Quasi da incorniciare