Attacco atto di giustizia contro la barbarie

Discorso al Senato di Silvio Berlusconi sul sostegno dell’Italia agli Usa nella lotta al terrorismo, pronunciato il 9 ottobre 2001.

Il presidente del Consiglio al Senato, fonte Presidenza CdMSignor Presidente, onorevoli senatori, tra qualche minuto il ministro della difesa, professor Antonio Martino, vi informerà sugli sviluppi della crisi internazionale. Consentite peraltro a me di premettere alla sua esposizione, che rappresenta la linea del Governo, qualche considerazione di ordine generale che la gravità del momento impone. Consideriamo le operazioni militari in Afghanistan un atto di giustizia contro la barbarie. È fuor di dubbio che occorre sradicare la rete terroristica mondiale; è fuor di dubbio che occorre far pagare un prezzo risolutivo a quei regimi che ospitano, nutrono, proteggono le basi da cui partono gli attacchi contro le nostre libertà, contro la nostra sicurezza, contro il nostro stesso modo di vivere.

Questi valori, nei momenti decisivi, devono essere difesi anche con l’uso proporzionato ma inflessibile della forza: ce lo impone il dovere che abbiamo verso le tante vittime innocenti, gente che aveva appena aperto la porta dei propri uffici e non poteva sapere, quella mattina dell’11 settembre, di essere stata condannata a morte da un pugno di fanatici che vogliono mettere in ginocchio il mondo diffondendo l’insicurezza e il terrore.

Il presidente Bush sta facendo quello che la comunità internazionale si aspettava dal suo Paese, dagli Stati Uniti d’America: collegare, cioè, la legittima difesa del suo Paese alla responsabilità che una grande potenza ha verso il mondo. Per questo ha promosso una vasta coalizione contro il terrorismo; tutti i leader di questa coalizione condividono i valori in nome dei quali ci battiamo: il riconoscimento del diritto di ciascuno di percorrere in pace il proprio cammino; una prosperità non egoista; il rispetto delle diversità; la capacità di convivere su questa terra, quale che sia il diverso credo e la diversa religione. Sono queste le nostre bandiere, questo è il nostro comune sentire; il nostro nemico è invece uno solo: la rete degli assassini, di chi li nasconde, di chi li protegge.

Nel Consiglio Atlantico abbiamo confermato che gli obiettivi di un’azione militare, che già intravediamo lunga, saranno calibrati con la massima precisione possibile sui covi del terrore per evitare, nei limiti delle umane possibilità, vittime civili.

Il ricorso all'uso della forza per distruggere le centrali del terrorismo internazionale è stato autorizzato dalle Nazioni Unite con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e nel rispetto della Carta dei Principi su cui si fonda la comunità delle Nazioni.

In questa campagna di giustizia e di difesa delle libertà, l'Italia farà la sua parte. La farà fino in fondo e senza riserve. Lo faremo per garantire la nostra sicurezza e il nostro futuro. Lo vuole anche la nostra tradizione liberale e umanitaria, che ci ha portato sempre a fare "quel che dovevamo" nei momenti decisivi della nostra storia. Sradicare il terrorismo è la premessa indispensabile per riaffermare la giustizia e la pace. E' una missione per la quale si deve compiere il massimo sforzo di coesione e di impegno nazionale, al di sopra di qualsiasi divisione partigiana.

Ma c'è, oggi, nella comunità internazionale anche una nuova consapevolezza della necessità di dare risposte alle ansie e alle speranze dei popoli più sofferenti del pianeta. L'Italia, in questa direzione, ha moltiplicato il suo impegno per attuare strategie globali di lotta alla fame, alla povertà, alle malattie. Ma non basta. Come ha scritto il presidente della Banca Mondiale, (James Wolfensohn) "è impossibile prevenire i conflitti e instaurare la pace senza promuovere la coesione sociale e l'integrazione".

Bisogna puntare sulla creazione di reddito e di lavoro, ma anche sull'istruzione e sulla tutela della salute. E bisogna farlo tanto più adesso, nella presente, difficile congiuntura che rischia di essere pagata dai Paesi e dalle aree più povere del pianeta. Wolfensohn cita i progetti in corso per il bacino del Nilo, per la Bosnia, per Timor Orientale e per il Rwanda. Ma una preoccupazione speciale deve essere dedicata alla Palestina. Finché in Medio Oriente si fronteggeranno la robusta società israeliana e la fragile, disperata società palestinese, la ricerca della pace sarà tremendamente difficile. E' ora che si appronti un progetto concreto per portare in Palestina investimenti, fabbriche, lavoro, strade, scuole, ospedali.

Il presidente Berlusconi con Yasser Arafat, fonte presidenza CDMNon è possibile aspettare la pace: la pace bisogna prepararla e poi saperla conservare. E preparare la pace vuol dire anche costruire condizioni minime di benessere e di serenità, affrontando le situazioni critiche che rendono precaria la sicurezza.

L'Italia intende prendere un'iniziativa, che potrebbe essere inserita in un più ampio quadro europeo ed occidentale, per dare vita a una lunga ma sicura azione di risanamento delle condizioni di vita della Cisgiordania e di tutti i territori che fanno riferimento all'Autorità Nazionale Palestinese. Bisogna associare il settore privato a un grande sforzo pubblico di investimenti, sulla scala e sul modello del "piano Marshall", il cui scopo sia quello di dare un contributo al rasserenamento e alla pacificazione di quell'area tormentata da più di mezzo secolo.

Signor Presidente, Onorevoli Senatori in questi tempi difficili il governo eserciterà i suoi poteri con il massimo spirito di apertura verso i dubbi, le ansie, le domande della società civile.

Sul piano istituzionale, informeremo il Parlamento ogni qualvolta sarà necessario o richiesto. Manterremo un contatto permanente con le opposizioni. Lavoreremo in stretta cooperazione con gli alleati della Nato.

Le nostre forze armate, e ogni altro apparato di sicurezza, sono ormai da settimane in stato di massima vigilanza.

Mi appello quindi al senso di responsabilità di tutti i cittadini. Dobbiamo saper vivere questo momento con coraggio e con serenità.

Ho l'assoluta certezza che questa è una battaglia che i nemici della civiltà hanno già perso, una battaglia che vinceremo vincendo la rassegnazione, la paura, lo spirito di resa.

Siamo pronti, come ha detto il Capo dello Stato, a fare senza indugi il nostro dovere di grande Paese democratico.

Siamo consapevoli di una precisa strategia politica che anima l'azione dei terroristi: portare l'integralismo e il fanatismo al potere.

Il nostro obiettivo è invece quello di trovare dei punti di intesa con il mondo dei vari Paesi dell'area islamica e siamo certi che nessuna forza religiosa o culturale dell'Islam punta sul terrorismo come mezzo di lotta contro l'Occidente.

Noi vogliamo creare un consenso tra il mondo islamico ed il mondo occidentale fondato sul rifiuto della violenza.

Noi vogliamo creare un ponte di amicizia tra le due Civiltà, vogliamo una pace profonda, non il conflitto tra l'Occidente e l'Islam: anche se siamo convinti che lo stesso vigore con cui l'Islam afferma la sua identità deve dare a noi, cittadini dell'Occidente, la coscienza e l'orgoglio dei nostri valori, delle nostre conquiste democratiche, delle nostre radici spirituali.

Concludo esprimendo a nome di tutto il Paese, in un passaggio così difficile della vita internazionale, la solidarietà italiana a tutti coloro che si stanno impegnando in queste ore per la sicurezza del mondo intero.

Porterò questa solidarietà fattiva, fondata su una storica alleanza e su una forte amicizia, al Presidente degli Stati Uniti nel corso del mio prossimo viaggio a Washington.

Il governo garantisce che questa solidarietà non sarà fatta di sole parole. Vi ringrazio