di MATTIAS MAINIERO Tratto da "Libero" del 17/2/2004
Migliaia di miliardi finiti chissà dove. Spariti, volatilizzati. O forse solo nascosti tra le pieghe di un rendiconto da brivido. Altri miliardi contabilizzati in modo sbagliato, prestiti non contabilizzati affatto, misteri. In poche parole un bilancio inattendibile, nella migliore delle ipotesi spaventosamente disordinato. Un disastro. E non è la Parmalat di patron Tanzi & soci in malaffare. Signori, ecco a voi la storia di un buco che è una voragine e che non fa gridare allo scandalo. Normale. Questo è il Paese in cui cinque o dieci milioni di lire investiti in bond e liquefatti nel mare delle private insolvenze fanno giustamente notizia, e cinque o dieci milioni finiti in tasse per finanziare pubblici disastri restano normale routine. Questa è l'Italia anno 2000-200l, ultimo dell'era ulivista.
Vi ricordate? Fu Giulio Tremonti il primo a scendere in campo. I conti non tornano, spiegò. All'appello mancavano svariate migliaia di miliardi. Quanti miliardi di lire? Con precisione non si seppe mai. La Ragioneria generale dello Stato disse che il fabbisogno (anno 2000) era pari a quasi 55mila miliardi. Bankitalia parlò di 81mila e rotti miliardi. Grazie all'eredità lasciata dal governo Amato - spiegò il ministro Tremonti ancora fresco di poltrona - per l'anno 2001 il deficit può arrivare a 90mila miliardi, il doppio di quello previsto dal centrosinistra. Una girandola di numeri. E di reazioni. Insorsero tutti, Amato, Letta, D'Alema, Rutelli. Persino Fassino gonfiò il petto, che non è una notizia sconvolgente, se non fosse per il petto. Parlarono di bugie, di una scusa del centrodestra per non rispettare le promesse date. Il governo Berlusconi fu, purtroppo costretto a rivedere i propri piani. Come si fa a varare la Finanziaria promessa quando i dati sui quali la Finanziaria stessa è stata studiata non sono quelli reali?
Come si fa ad abbassare la pressione fìscale quando all'appello mancano trentamila miliardi di lire (è questa la cifra di cui parliamo)? Non si fa. Impossibile. E allora si rinvia si tenta prima di tappare le tapparelle. Si fa quel che si può. Polemiche e accuse. Chi aveva ragione? Oggi lo sappiamo: sbagliava il centrosinistra. E non lo diciamo noi. Lo hanno scritto, nero su bianco, i tecnici della Banca d'Italia, dell'Istat e del ministero dell'Economia che hanno consegnato al governo il loro rapporto. Attenzione: parliamo di tecnici, di esperti. Niente a che fare con i politici e le loro variabili dipendenti dall'elettorato. Numeri nudi e crudi, cifre, percentuali, rimborsi, pagamenti, pil, rapporti, poste. Inutile addentrarsi nel dedalo: rischieremmo solo di confonderci. Due perle colte al volo. Nell'anno 2000 - è la commissione che parla e il Corriere della Sera che riferisce - nel bilancio pubblico risultano alcuni versamenti fatti dal Tesoro. Piccola particolarità: i versamenti furono fatti due volte, ma risultano registrati una sola volta. Presi dai loro mille problemi quotidiani, i nostri Superagionieri statali hanno dimenticato in un cassetto un po' di fatture. Una cosuccia: 700 miliardi di lire. Nello stesso anno sono stati individuati rimborsi per 2.1OO miliardi di lire.
Altra cosuccia: i rimborsi sono relativi a titoli dei quali non è stata trovata traccia. Che fine hanno fatto? Semplice, dato per scontato che i titoli esistono e che questa non è la contabilità Parmalat, i titoli devono essere stati dimenticati da qualche parte, non sappiamo se in un cassetto o su uno scaffale. E c'è, purtroppo, di peggio. Tra i conti fatti da Bankitalia e quelli stilati dall'Istat c'era una differenza di circa trentamila miliardi di lire. Esaminate le carte e riscontrati un po' di errori, dimenticanze superficialità e castronerie varie, pare che settemila miliardi siano tornati a casa. Se n'erano andati a fare un giretto da qualche parte. Degli altri continua a non esserci traccia. In libera uscita, senza permesso.
Fatte naturalmentele dovute differenze e prese tutte le distanze del caso, sembra quasi la storia della Parmalat e di don Calisto: miliardi che vanno e vengono, obbligazioni, prestiti, segnalazioni errate delle banche, Superagionieri che si confondono e controllori che chissà cosa controllavano, la Banca d'Italia che smentisce l'Istat, l'Istat che smentisce la Ragioneria, ancora l'Istituto di statistica che sulla base dei primi dati a disposizione parla di un rapporto deficit/pil all'l,5 per cento, poi è costretto a ricredersi portandolo all'l, 7, poi è costretto a ricredersi di nuovo facendolo salire all'1,8. Stessa storia l'anno dopo: 1,4 che diventa 1,6 che si trasforma in 2,2 che a sua volta si tramuta in 2,6. Un tourbillon con al centro un immenso buco nero. E non stiamo parlando del Burundi. Questa è l'Italia, grande potenza industriale, Paese in cui la voragine Parmalat è giustamente sulla bocca di tutti, e l'analoga voragine Ulivo rimane roba per pochi intimi, cultori della materia, esperti di numeri e di economia. Fino a quando una commissione finisce il suo lavoro e scrive: il buco era proprio un buco di 30.600 miliardi di lire. Era grande, era immenso e ha inghiottito tante cose, anche una parte della credibilità di questo Paese che deve rispettare precisi parametri europei e che non sa neppure bene quali numeri mettere in colonna, se il 2 o 3 di Giuliano Amato o il 4 dell'Istat o magari il 2 virgola qualcosa di un altro istituto. Numeri al Lotto. E un'amarissima conclusione.
I bilanci sono bilanci, dare e avere, tot se ne va per gli stipendi, tot per gli interessi sui titoli di Stato, un'entrata qui, un'altra entrata lì. Tutto deve filare. E se all'appello manca qualcosa, per far quadrare i conti e non chiudere per bancarotta, bisogna scovare l'equivalente in giro. Il che significa che quel buco, signori miei, l'abbiamo o lo stiamo ripianando tutti noi, un poco alla volta, stringendo la cinghia, con le tasse che non sono calate come previsto e sperato con qualche prelievo e qualche condono, e pure con l'euro che si è messo di mezzo. Ma non ditelo in giro, non spargete la voce. D'Alema, Rutelli e Amato sono pronti a smentire. Direbbero di no, che è solo un'invenzione del creativo Tremonti. E poi c'è Prodi con il suo nuovo Ulivo, lasua campagna elettorale. E c'è pure Fassino Attenzione, lui gonfia il petto.