(Qui sopra:la zona di produzione del CHIANTI
CLASSICO)
La via Francigena conosciuta anche coma la via "Romea" è una strada europea nell'Italia del Medioevo, ma la sua importanza oggi riconosciuta e riscoperta, all'alba del Terzo Millennio, da una quantità impressionante di studi e mostre. Dalle Alpi a Roma la Francigena toccava il territorio del Chianti con le sue storie di Santi, di reliquie, di pellegrini e di cavalieri. Di fatto qualsiasi strada non è mai un semplice luogo geografico ma un veicolo di tradizione e di cultura. Come sempre occorre trarre cose nuove dalle cose antiche.
Sentieri erbosi mi hanno guidato un giorno verso il "Cennatoio", e poi carovaniere, quelle piste misteriose o d'azzardo del Chianti, che uno sceglie come riversa carta di tarocchi. Vorrei chiamarle, anche oggi, primavera o estate quelle strade rivolte a un orizzonte in cui la luce sorrideva come avvolta in un sontuoso scialle di viole. Là ricordo sempre una voce della poesia che, per attimi, sostituì davvero la bussola o la mappa: "Avete 'n voi li fiori e la verzura / e ciò che luce od è bello a vedere". Così Guido Cavalcanti sognava la sua donna riversa in mezzo ai fiori, forse in un crepuscolo lontano di primavera o d'estate, proprio al "Cennatoio" che, a quanto pare, era la casa dei suoi sogni o la dimora della sua inafferrabile malinconia. Più sotto, s'udiva, nei giorni chiari d'autunno, la sorgente della Greve che urtava le pietre delle "Stinche Alte", il grande carcere della Repubblica di Firenze sotto i Medici. Dentro il sudario delle foglie dove il bosco più fitto le proteggeva, le "Stinche Alte" accoglievano quei cenni che parenti e compari dei carcerati, dal piazzale della Villa, inviavano ad amici e congiunti: da qui il nome "Cennatoio". Quei cenni annaspavano nell'aria prima di cadere d'improvviso giù sotto quasi avvolte di oblio e di memoria al contempo. Al "Cennatoio", dunque, ritrovavo quella leggenda del tempo che il Chianti, nei mille luoghi del suo vagare da una stagione all'altra, sa conservare come il segreto delle più alte avventure.
Ora la strada è un'altra. Il "Cennatoio" è oggi una Azienda agricola che Leandro e Gabriella Alessi dirigono dal 1971. Ma il luogo, nel variare degli anni, è rimasto ugualmente "bello a vedere" come diceva Cavalcanti: dal "Cennatoio" si domina uno stupendo e tipico panorama del Chianti con colline piene di vigneti e oliveti, chiese e castelli e da lontano piccoli boschi di querce che alzano l'orizzonte fin sopra l'origine invisibile del cielo.La particolare natura del terreno, galestroso, pietroso e duro a dissodarsi; l'esposizione a mezzogiorno, ideale per vitigni tipo Sangiovese, Canaiolo, Trebbiano, Cabernet Sauvignon, Merlot e Chardonnay, contribuiscono in maniera decisiva alla produzione di vini davvero fini, robusti e dal delicato profumo di giaggiolo. Così, i vigneti pregiati del "Cennatoio", inframezzati dagli ulivi, si estendono per dieci ettari con una esposizione completamente a mezzogiorno come s'è detto. I seicento ulivi sono giovani perchè nel 1985, proprio nel mese di gennaio, i vecchi ulivi furono distrutti dal gelo: quelle vecchie piante costituivano un importante patrimonio non solo economico ma soprattutto paesaggistico della campagna toscana. Da quattro anni, l'Azienda ha iniziato la coltura biologica, usando esclusivamente concimi naturali ed evitando diserbanti per non danneggiare le api. Qui c'è un frutteto che dà frutti dall'inizio della primavera alla fine dell'autunno e un orto per tutte le erbe officinali. Ma è soprattutto l'arte enologica il maggior vanto del "Cennatoio": le nuove cantine, con botti di rovere per oltre 600 ettolitri, 300 ettolitri di Barriques e Tonneaux francesi insieme alla moderna tinaia, alla vinsanteria ed alle vecchie cantine, costituiscono il coronamento della produzione e dell'invecchiamento del Chianti Classico Cennatoio. In sostanza, alle naturali doti del luogo, si aggiunge un sistema di vinificazione che ha mantenuto l'antica tradizione vinicola della zona. Da questa terra ricca di costumi antichi e raffinati quanto l'arte della vinificazione, può benissimo nascere una iniziativa che, saldando la tradizione storica alla vitalità dell'opera umana nel tempo, guardi da un luogo preciso e carico di memoria verso la vastità ardente del Chianti che forse lo stesso Omero potrebbe chiamare 'colore del vino'.
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