Chi pensa che il Brasile sia giá stato completamento scoperto, si sbaglia di
grosso. Certamente l'uomo é riuscito a penetrare nei suoi piú celati e
reconditi angoli, ma, ció malgrado, riserva ancora delle piacevoli sorprese,
non solo ai turisti stranieri ma persino agli stessi brasiliani che poco
conoscono il proprio paese, anche a causa della sua vasta dimensione geografica.
A meno di due ore di macchina da Rio, per esempio, ci si puó addentrare nella
foresta vergine, scendere con una barca lungo i numerosi corsi d'acqua,
incontrare tribú di indios o, persino, fare degli incontri emozionanti.Tutto
questo, è veramente alla portata di tutti, grazie alla perfetta rete di
trasporti extraurbani che assicura buona parte dei collegamenti con l'interno
dello stato di Rio e permette delle piacevolissime escursioni, con una modica
spesa e con tutti i conforti.Chi pensa di cercare emozioni forti solamente nella
foresta amazzonica, puó sperimentarne un piccolo assaggio nelle immediate
adiacenze delle grandi cittá. Per esempio, l'autodromo di Rio, intitolato a
Nelson Piquet, sorge in mezzo alla laguna di Jacarepaguá, che significa, nella
lingua guaraní, terra dello jacaré, il caimano,di cui era ricca la zona e che
ogni tanto appare lungo le strade. Le foreste che circondano Rio sono popolate
di piccole scimmie. i micos, di pappagalli di tutti i tipi, di piccoli cinghiali,
armadilli e moltissimi altri animali tipici delle foreste tropicali. Tutto
questo a poche ore di macchina dalla cittá. Nel cuore della MATA ATLANTICA, la
foresta nativa della costa brasiliana, a
meno di due ore da Rio, in una antica fazenda, è stato aperto il Museo del
caffé. Molti conoscono la storia di questa bevanda che, con un poco di orgoglio,
possiamo chiamare bevanda nazionale italiana dopo il vino. Il Brasile ne è il
maggior produttore mondiale. Non tutti, peró, sanno come la pianta del caffé sia
approdata in questa terra dalla lontana Arabia.La bevanda arrivó in Europa nel
XV secolo diventando subito molto popolare. Due secoli piú tardi, Luigi XIV
ordinó che la pianta fosse piantata nella Guiana Francese. Nel 1727, essendo
stata distrutta la delimitazione del confine tra Brasile e Guaiana, il sergente
maggiore portoghese Francisco de Mello Palheta fu incaricato di ripristinarla.
Durante il viaggio, che giá durava da piú di un mese, l'imbarcazione che
trasportava il militare si capovolse. Palheta arrivó a Caienna tremante di
freddo e completamente nudo. Il governatore della cittá, Claude d'Orvilliers,
lo accolse con onori di stato e gli serví un delizioso caffé bollente.
Deliziato dalla bevanda, il brasiliano chiese allora che gli fossero dati i semi
della pianta per poterla coltivare nelle sue terre, ma il governatore rifiutó
allegando che la pianta del caffé era monopolio del re di Francia. A questo
punto la storia si fa piccante. Infatti, la moglie del governatore, che nel
frattempo si era invaghita dell'ospite al quale aveva concesso i suoi favori, nascosti i preziosi semi nel petto
generoso, li consegnó all'amante. Questi, rientrato in Patria, ne cominció
la coltivazione. In breve tempo il caffé si espanse per tutto il Paese, da nord
a sud, dando inizio alla cosiddetta era del caffé. In breve tempo si arrivò a
produrne piú di centomila tonnellate, dando un decisivo impulso alla economia
brasiliana, la cui moneta arriva a competere con la sterlina inglese. Le
fazendas di caffé prolificarono in tutto il territorio nazionale, ma si
concentrarono negli stati di San Paolo, di Rio, Spirito Santo e Bahia,grazie al
lavoro degli schiavi negri. Con l'abolizione della schiavitú tutto mutó.Questo
cambiamento, tra l'altro, divenne un fatto importante per la nostra emigrazione.
Il lavoro degli schiavi fu infatti affidato ai nostri connazionali, in buona
parte di origine veneta, che, da buoni contadini quali erano, ridettero nuovo
impulso alla coltivazione del caffé. Dalle fazendas, poi, i nostri connazionali
si trasferirono verso le grandi cittá, o comprarono i terreni nei quali avevano
lavorato, diventandone proprietari. Le numerose colonie venete sparse nel
Brasile, hanno avuto questa origine. In queste aree il dialetto veneto è
parlato a tutt'oggi, anche dalle nuovissime generazioni, dando continuitá, in
questa parte del mondo, alle antiche tradizioni delle terre di San Marco. Il
primo vino brasiliano, per inciso, è veneto.
Il Museo del Caffé è dovuto alla
passione della penultima proprietaria per l'arte brasiliana soprattutto di
quella del periodo del Brasile Coloniale e dell'Impero. Comprata la fazenda-pousada
Ponte Alta nel 1960, una decina di anni piú tardi restauró l'antico mulino con
un prezioso progetto archittettonico, utilizzando mobili e oggetti del XVIII e
XIX secolo. Il nome di questa signora è una sorpresa per noi
italiani, si tratta infatti della signora Nellie Pascoli, discendente del poeta Giovanni Pascoli. Questa donna si mise a lavorare di buona lena,
restaurando, ricomprando, nei negozi di antiquariato, nelle varie chiese o presso
le case di altri coltivatori, oggetti legati all'epoca d'oro del caffé, mobili,
santi, pezzi rari, ricostruendone la memoria storica e collocandoli nel loro
ambiente naturale. Gli attuali proprietari, i nipoti Evelyn e Ricardo, vollero
rendere omaggio alla zia intitolandole il museo. Il pezzo piú prezioso della
collezione, è una statua di Santa Ifigenia, la santa etiope venerata dagli
schiavi africani. Nel locale dove si trovava il mulino, è stato creato un
albergo, arredato con sobria eleganza e buon gusto. Davanti alla facciata, una fila
imponente di palme imperiali fa da sentinella alla casa. Nel retro, un enorme
spiazzo dove era seccato il caffé, è racchiuso tra as senzalas, gli antichi
alloggiamenti degli schiavi, con i loro tristi ricordi. Gli schiavi che avevano
lavorato bene durante il giorno, ricevevano in premio un bicchiere di cachaça,
l'acquavite distillata dalla canna da zucchero. I migliori ne ricevevano una
bottiglia intera e ne diventavano viziati, essendo spinti, in tal modo, a
lavorare sempre di piú. Per gli altri, la frusta. In una delle antiche
abitazioni degli schiavi è stata ricavata una cappella dedicata a Sant'Anna. L'
ironia del destino ha voluto che il cappellano che la domenica viene a recitare
la messa, sia un discendente dell'ultimo proprietario del periodo della
schiavitú. All'interno della cappella, pezzi di grande valore, un altare e un comó del XVIII
secolo, oltre a un crocifisso raro, al centro, circondato da due angeli in stile
barocco e due palme d'argento. Due fonti battesimali, una in argento e l'altra
in oro, tavolette di legno scolpite e santi provenienti da varie chiesette,
completano l'arredamento. Intorno alla fazenda ci sono molte cascate, la piú
bella delle quali era la preferita dal vecchio presidente Getulio Vargas, il
quale vi passava parte del suo tempo libero ciscondato da amici e, soprattutto,
amiche : cantanti, coriste e cosí via. Nella fazenda,la cui attivitá è ora
prevalentemente agricola e turistica, sono allevati i cavalli manga-larga, una
razza molto pregiata, cavalli belli, imponenti, eleganti e mansueti. Uno di
questi adibito alla riproduzione, vale un milione di dollari. Evelyn Pascoli
assicura di essere molto emozionata e cosciente della ereditá morale che ha
ricevuto dalla zia. In tutta la fazenda si respira infatti un'aria positiva,
benefica, una catena che lega il tempo passato al presente, sensazione che ha
spinto gli attuali proprietari ad aprire le porte ai visitatori, privilegiando
coloro che si riuniscono per espandere la propria coscienza e quella degli altri
: psicologi, terapeuti, coloro, insomma, che aiutano alla ricerca della
evoluzione dell'essere. Il clima del luogo è stato purificato, il dolore e la
sofferenza degli schiavi, eliminati, con l'amore che ha sostituito i tristi
ricordi del passato. Oggi la cavallina storna pascola sui prati brasiliani, tra
banani, palme e gli ipé, alberi che hanno sostituito i pioppi del rio Salto. La
memoria di un'epoca della storia brasiliana, si mescola con quella dei lontani
italici giorni di scuola. I cavalli normanni hanno nomi sudamericani, ma lo
spirito che aleggia tutt'intorno ci fa ricordare quello di casa nostra, dove
aleggiano lavoro e soffrimento, allegria e disperazione, tutti imbevuti di
speranza. Qui, la speranza, ha il sapore e l'aroma del caffé.