Recentemente
l’Ente Poste Italiane ha emesso un francobollo commemorativo della nave “Elettra”,
già di proprietà dello scienziato Guglielmo Marconi, che la adibì a
laboratorio per i suoi esperimenti scientifici nel corso della prima metà del
XX secolo. Durante le mie peregrinazioni invernali in Liguria ho scoperto in
varie località del Tigullio imperiture testimonianze della presenza di questa
nave a Rapallo, Santa Margherita Ligure e Portofino negli anni Trenta, epoca
nella quale tali esperimenti ebbero una importanza internazionale nel campo
della radiotelegrafia, culminati il 26 marzo 1930 nel porto di Genova con un
avvenimento eccezionale: l’illuminazione del municipio di Sydney in Australia
comandata da bordo dell’ “Elettra” che si trovava ancorata al Molo Giano
del capoluogo ligure, distante quattordicimila miglia. Un miracolo della scienza.
Nel giardino di Villa Durazzo a Santa Margherita ho notato la presenza di una
porzione della chiglia della storica nave ivi collocata dall’amministrazione
comunale per ricordare ai posteri la “nave dei miracoli”. Mi ero chiesto
più volte che fine avesse fatto quel bastimento, divenuto due anni fa oggetto
di concorso per una mostra di modellismo statico navale bandito dal Civico Museo
Marinaro di Camogli che avevo visitato, ripetutamente attratto dalla presenza in
loco di tante testimonianze del glorioso passato marinaro camogliese. Ora la
risposta mi viene, come per incanto, da un elaborato dell’amico dottor Aldo
Cherini, esule capodistriano a Trieste, approntato, in collaborazione con altri,
per un quaderno dell’Associazione Marinara “Aldebaran”. Apprendo così che
lo storico panfilo marconiano nacque agli inizi del ‘900 nel cantiere navale
Ramage & Ferguson Ld. di Leith (Scozia) su commissione dell’Arciduca d’Austria
Carlo Stefano, ammiraglio dell’imperiale regia Marina da Guerra, che aveva
fissato la sua residenza nell’isola di Lussino, presso Lussingrande, dove
trascorreva con la famiglia diversi mesi dell’anno in una splendida villa che
si affacciava nella baia di Rovenska. E “Rovenska” venne battezzato l’elegante
yacht progettato dai noti ingegneri Cox e King e magistralmente eseguito dalle
maestranze secondo i canoni dell’estetica caratteristica per questo tipo di
imbarcazione. Dopo qualche anno il panfilo cambiò proprietà per due volte,
passando in mano inglese ma mantenendo il nome della baia lussignana. Allo
scoppio della prima guerra mondiale, nell’agosto del 1914, il “Rovenska”
veniva militarizzato ed utilizzato dalla Royal Navy come nave scorta e pattuglia
nel canale della Manica tra le coste inglesi ed i porti francesi di Brest e
Saint Malo. Al termine del conflitto il panfilo venne acquistato da Guglielmo
Marconi per 21.000 sterline e rimaneggiato per esigenze di lavoro iniziando una
lunga attività di navigazione al comando del capitano Raffaele Lauro di
Sorrento, toccando le coste spagnole e marocchine. Nell’agosto del 1919
approdava al porto di La Spezia, dopo aver toccato Napoli, per nuove opere di
sistemazione e arredamento. Nel 1921 veniva iscritto nel registro di navigazione
italiano col nome “Elettra” presso il compartimento marittimo di Genova ed
iscritto anche al Reale Yacht Club Italiano con il privilegio di battere la
bandiera recante lo stemma sabaudo con la corona reale, come sulle navi militari.
In precedenza il panfilo, nel settembre del 1920, era stato accolto nel porto di
Fiume, occupata dai legionari di Gabriele d’Annunzio, che da bordo trasmetteva
un messaggio al mondo a favore dell’annessione della città all’Italia.
Innumerevoli le missioni effettuate nel corso degli anni Venti su tutti i mari
del mondo, dall’Africa alle Americhe con successi sempre più lusinghieri nel
campo scientifico, continuati nel nuovo decennio sino alla morte di Marconi,
avvenuta il 20 luglio 1937. Dopo la morte dello scienziato il panfilo veniva
ceduto dagli eredi al Ministero delle Comunicazioni – Direzione delle Poste e
Telegrafi – dietro esborso di una somma vicina al milione di lire dell’epoca.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale l’ “Elettra” era all’ancora
nel porto militare di La Spezia e per la sua salvaguardia si ritenne opportuno
trasferirla in un porto più sicuro. Venne scelta Trieste come base ed il
panfilo fu ormeggiato al molo III del Porto Vecchio. Dove rimase indisturbato
sino all’8 settembre 1943. L’equipaggio rese inefficiente l’appartato
motore per evitare che l’occupatore tedesco potesse utilizzare il panfilo, che
venne restituito alla Società Italia di Navigazione. Vennero tuttavia asportati
diversi oggetti e per evitare ulteriori spoliazioni il materiale più importante
venne rinchiuso in numerosi cassoni occultati nei sotterranei del castello di S.Giusto
ed in altri posti sicuri della città. A guerra finita, nel 1947, questi cimeli
venivano trasferiti al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Nel
novembre del 1943 il panfilo, ormai spoglio del materiale scientifico, venne
rimorchiato dalla Kriegsmarine germanica nell’Arsenale Triestino dove -
sottoposto a lavori di riadattamento – venne trasformato in nave da guerra con
la sigla “G 107” (cambiata successivamente in “MA 6”) ed impiegato in
servizio di pattugliamento sulle coste dalmate. Nella rada di Zara subì
ripetuti attacchi aerei da parte dell’aviazione angloamericana ed il suo
relitto rimase abbandonato per un lungo periodo sul bassofondo della baia di
Dicolo, disgregato dalla salsedine e dagli agenti atmosferici. Lo scafo veniva
rimesso a galla nell’estate del 1962 da una società di recuperi di Spalato e
restituito al governo italiano che provvide a rimorchiarlo sino al cantiere
navale “San Rocco” di Muggia con il proposito di recuperare il relitto ma il
progetto venne accantonato dopo anni di studi e progetti inutili. Nel 1977 la
nave veniva sezionata in vari tronconi che vennero trasferiti in varie località
a scopo museale. Una parte della carena finì, come si è detto, a S.Margherita
Ligure, il blocco poppiero al Telespazio di Fucino, una sezione trasversale nel
parco della Villa di Sasso Marconi (BO), la macchina e le caldaie al Museo
Storico Navale di Venezia. In questi giorni la parte prodiera, rimasta a Trieste,
è stata collocata nell’Area di Ricerca di Padriciano, sull’altipiano
carsico, in una località difficilmente accessibile e lontana dal mare. Mesi fa
infatti veniva affidata al noto scultore di fama internazionale Giò Pomodoro lo
studio per la sistemazione della gloriosa prua entro l’Area dello Science Park
“non solo come monumento – conclude l’elaborato del dott. Cherini – ma
anche come stazione di riferimento di un sistema satellitare di sussidio ai
naviganti, il Global Positioning System, trasformando così lo storico relitto
in qualcosa di vitale e di pulsante, come la forza creativa dell’impulso che
resta alla base della ricerca scientifica”.